La coalizione semaforo Spd-Fdp-Verdi è caduta sotto il colpo dei cambiamenti acuiti (anche) dalla seconda elezione di Trump negli Usa. Il vero obiettivo del fenomeno AfD. La partita interna e le conseguenze per l'intero continente
Cartello di protesta contro l'ultradestra tedesca: "Anche Hitler era stato democraticamente eletto" © Ansa
Le elezioni tedesche, indette dopo la crisi del governo Scholz, possono condizionare il destino dell'intera Europa. La coalizione semaforo Spd-Fdp-Verdi è caduta sotto il colpo dei cambiamenti acuiti dalla seconda elezione di Donald Trump alla presidenza americana. A livello geopolitico, l'Unione europea è una creatura costruita dagli Usa attorno alla sovraccapacità della Germania, perno di una rete economicistica che interconnette e pacifica l'intero continente. La guerra alle porte d'Europa ha però messo in crisi tale sistema, incluso il modello tedesco. E ora il voto del 23 febbraio potrà configurare un assetto inedito per il cuore del continente, con un partito di estrema destra (Alternative für Deutschland) come seconda forza politica a livello federale. Il distacco dall'energia russa, i dazi contro il grande mercato cinese, la contrazione del Pil, le tensioni sociali e la contraddizione tra surplus produttivo e rivoluzione verde hanno fatto il resto.
Un motore (la Germania) che si inceppa si può riparare, ma intanto la macchina (l'Europa) non può restare ferma. Se però il meccanico (gli Usa) preferisce lasciar andare le ruote per inerzia, puntando su una trazione orientale (verso i Paesi confinanti con la Russia), allora la situazione si fa più complessa. La dialettica politica non rivela quasi mai la strada maestra di una nazione, piuttosto distrae dagli obiettivi strategici. Nel caso tedesco, però, la contesa elettorale rappresenta un indizio decisivo per capire cosa sta succedendo.
I sondaggi tedeschi sono storicamente molto affidabili. Con ogni probabilità, dunque, l'unione di centro Cdu-Csu tornerà al governo dopo la parentesi socialdemocratica, con Friedrich Merz pronto a prendersi la cancelleria. Emblematico il lapsus della giornalista che, alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, lo ha chiamato "cancelliere" nonostante mancassero ancora dieci giorni alle elezioni. Dopo le mancate nozze al Bundestag, il tentativo di coalizione con i nazionalisti di AfD ha rivelato il deciso spostamento a destra dei centristi guidati da Merz. Dall'equazione di governo resterebbero fuori anche i "piccoli" partiti Die Linke (sinistra radicale) e Bündnis Sahra Wagenknecht (i dissidenti del Die Linke, con vocazione filorussa), che negli auspici di Merz non supereranno la soglia di sbarramento e resteranno fuori dal Parlamento. Le strade per l'unione Cdu-Csu si riducono dunque sostanzialmente a due:
A complicare i piani è però intervenuto l'ultimo dibattito tv tra Merz e Scholz, incentrato su un dossier strategico per la Germania: l'immigrazione. A gennaio il leader della Cdu aveva incassato l'approvazione "sofferta" in Parlamento (348 sì contro 345 no) di una mozione che istituiva controlli permanenti ai confini e accelerava le espulsioni degli immigrati irregolari. Non passò tuttavia la detenzione a tempo indeterminato di chi aspetta il rimpatrio, riproposta proprio in tv da Merz. Scholz si è opposto affermando che il diritto d'asilo è parte integrante del sistema giuridico e dei valori tedeschi. Ma perché i flussi migratori sono così importanti per la Germania? Il Paese accoglie il maggior numero di richiedenti asilo nell'Ue (il 31,4% del totale nel 2023), per motivi principalmente economici. La Germania produce molto più di ciò che riesce a consumare e ha bisogno di stranieri per la forza lavoro. L'Agenzia federale per il lavoro stima che ci sia bisogno di almeno 400mila lavoratori stranieri l'anno per mantenere il welfare tedesco. Senza l'ingresso di ulteriori futuri impiegati stranieri, il numero di lavoratori in Germania scenderebbe dagli attuali 46,4 milioni a 41,9 milioni. Il che non farebbe che acuire una crisi economica già in profondo atto. Un bel problema per un Paese che fa del debito una colpa morale.
La Germania non è una nazione, ma un insieme di nazioni, tenute faticosamente insieme da un welfare impareggiabile a livello europeo. Per finanziare lo Stato sociale, il governo federale utilizza i proventi del surplus commerciale tedesco. La Germania produce infatti molto più di quel che riesce a consumare, e quindi esporta. Anche e soprattutto in Italia, e viceversa. Il Nord Italia è pienamente inserito nella catena del valore tedesco, con le nostre fabbriche e industrie che producono componentistica e altro per le aziende tedesche. L'allargamento dell'Ue del 2005, da 15 a 25 Stati, consentì a Berlino di delocalizzare nei Paesi orientali euroipei, garantendosi livelli di surplus commerciale inediti. Gli introiti sono stati destinati, oltre all'assistenza sociale interna, anche al controllo dei bilanci di Paesi ad alto debito come Francia e Italia. La forza dell'euro si basa sulla capacità economica e finanziaria della Germania, e poco più. Un indebolimento di questo motore, scientificamente macchinato dagli apparati statunitensi, è indizio tattico dello spostamento del baricentro atlantico verso quell'Europa dell'Est fino a ieri cortile di casa della Germania, e oggi rinvigorito dalla corsa al riarmo e dalla necessità di un'avanguardia anti-russa. L'endorsement di Vance e Musk nei confronti di AfD non è casuale, in questo senso. Ma, nonostante i dazi, espone anche la Germania alle mire di Cina e Russia, che nel caos geopolitico possono trovare terreno ancora più fertile per penetrare nel cuore d'Europa.
La Germania per come la conosciamo oggi è stata riunificata e organizzata con gli Stati Uniti a manovrare i fili, con tanto di oltre 35mila soldati stanziati nel Paese. L'incubo peggiore di Washington è che Berlino e Mosca possano unirsi e mettere in campo il meglio che hanno: capacità e organizzazione, Ecco, la Conferenza di Monaco di qualche giorno fa è stato l'ultimo schiaffo americano in faccia alla Germania. I garanti della sicurezza europea dalla fine della Secondo Guerra Mondiale, gli Usa, hanno mandato il vicepresidente J. D. Vance in persona a dire che la democrazia tedesca è malata. Parole che hanno scolpito la frattura atlantica che ha spostato il baricentro della Nato verso la Polonia e il Baltico, per meglio coagulare l'opinione e i timori dell'Ue contro la minaccia russa. Frattura che, come nel corso della Guerra Fredda, divide l'Europa passando per la Germania, tra una parte che vuole annientare Mosca (gli Stati Ue ex sovietici), una parte filorussa (Ungheria e Slovacchia) e un mosaico vario che tutto sommato gli affari col Cremlino non li condanna a prescindere. Uno dei motivi principali per cui una Difesa comune europea non potrà svilupparsi. Anche la Germania appare divisa al suo interno secondo lo stesso schema, con una parte orientale (incarnata da AfD) che però è vicina al Cremlino.
Si è sempre detto e scritto delle tendenze neonaziste, xenofobe ed estremiste di AfD. Innegabili, certo, ma a livello politico interno il disegno del partito di Weidel è un altro. Alternative für Deutschland rappresenta le istanze della parte orientale della Germania: quella che un tempo avremmo chiamato Prussia (oggi Brandeburgo) e la Sassonia. Alla quale potrebbe serrarsi la produttiva e potente Baviera, cambiando gli assetti del Paese e dell'intero continente. L'obiettivo è scalzare il primato della parte occidentale della nazione (renani, vestfaliani, anseatici), che dalla Caduta del Muro di Berlino detiene stabilmente il potere. In questo senso AfD vuole modificare l'assetto dell'Ue attraverso propaganda e incitamento alla violenza sociale e attraverso stretti e oscuri legami con Cina e Russia. Le accuse di "putinismo" e di neonazismo, legittime e fondate, sono solo però solo la maschera di un movimento che non intende riportare la Germania ai tempi di Hitler. La rottura del rapporto diretto con la Russia - incarnata dalla sabotaggio del gasdotto Nord Stream - ha messo in crisi questo sistema, alimentando le tensioni politiche e sociali. AfD le ha cavalcate con intelligenza, costruendosi un consenso che sfiora il 20%.