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Gambiani, senegalesi e nigeriani: ecco perché l'immigrazione in Italia

Per arrivare nel nostro Paese servono viaggi anche di sei mesi. Ecco da dove arrivano le principali comunità di migranti nel nostro Paese

18 Giu 2015 - 18:46
 © da-video

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L'Eurostat ha diffuso i dati relativi alle richieste di asilo nel primo trimestre 2015 nei Paesi dell'Unione Europea. In totale le domande sono state 185mila, con un incremento dell'86% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Numeri che l'Ufficio Statistico ha segmentato per i diversi Stati dell'Ue, evidenziando come in Italia il maggior numero di richieste provenga da tre nazioni africane: Gambia (2.325), Senegal (1.715) e Nigeria (1.710). Zone in emergenza sotto diversi punti di vista, da dove si fugge per cercare nuove speranze, affrontando viaggi che possono durare anche sei mesi tra mare e deserto.

A livello continentale, in Europa a comandare la speciale classifica delle domande d'asilo è il Kosovo (50mila), un'area ancora non riconosciuta dall'Onu che dal 2008 si è autoproclamata indipendente. Dopo il conflitto armato che nel 1999 coinvolse anche la Nato, sembrava che la situazione per i kosovari potesse migliorare. Così non è stato.

Gambia
In questo paese dell'Africa occidentale vige la pena di morte, le testate giornalistiche che criticano il governo potere vengono chiuse senza troppi problemi, l'accesso alle prigioni è vietato ai funzionari internazionale e il presidente Yahya Jammeh ha minacciato di "tagliare la gola" agli omosessuali gambiani. È questo il rapido quadro di una nazione che dal 1994 vive soggiogata da Jammeh, che ha dichiarato di voler portare il Gambia tra le superpotenze mondiali per celebrare il cinquantesimo anniversario dall'indipendenza dal Regno Unito. Un obiettivo utopico, fatto di slogan e illusioni, nonostante le grandi risorse che il Paese avrebbe a disposizione, anche dal punto di vista turistico.
Jammeh ha infatti spazzato via la democrazia attraverso processi sommari, esecuzioni, censure. Il presidente gambiano è inoltre conosciuto per le sue uscite, come quando sostenne di poter curare l'Aids con un impacco di erbe naturali.
In tutto questo il Paese vive sotto la soglia di povertà, a causa anche del pericolo Ebola e dell'uscita dal Commonwealth nel 2013. Le persone così scappano, dai contadini ai laureati, per cercare di approdare in Europa. Le testimonianze di alcuni gambiani raccontano di viaggi durati anche sei mesi, tra prigionie, lavori forzati, naufragi.
Il Gambia poi non è un Paese tenero nemmeno con gli stranieri. È ancora fresca la la vicenda dei due pescatori italiani imprigionati per aver utilizzato reti di due millimetri più corte rispetto a quelle stabilite dalle convenzioni. Pochi giorni fa Agnès Guillaud, rappresentante dell'Unione Europea nel Paese, ha dovuto lasciare Banjul; sembra che Jammeh abbia deciso per questo provvedimento come forma di protesta verso Bruxelles, accusata di fornire aiuti economici per la difesa dei diritti omosessuali.

Senegal
Meno grave la situazione in Senegal, che entro il 2035 punta a entrare nel novero dei Pesi in via di sviluppo. Il Paese negli ultimi anni ha rafforzato il suo apparato economico anche attraverso accordi commerciale con il Marocco, ma al momento le condizioni di vita della popolazione non hanno beneficiato di questi miglioramenti. La metà dei senegalesi vive ancora sotto la soglia di povertà e la nazione rimane ancora tra le venticinque peggiori del mondo, secondo l'indice di sviluppo umano.
“In considerazione dell'attivismo dei gruppi di matrice terroristica nella fascia saheliana e dell'accresciuto rischio di azioni ostili a danno di cittadini ed interessi occidentali, si raccomanda di mantenere comunque elevata la soglia di attenzione in tutto il Paese. Si suggerisce inoltre alle imprese italiane, in particolare quelle operanti in aree remote o che ricevano pubblico, di incrementare le misure di sicurezza. Nella regione meridionale della Casamance, ove si sono anche di recente registrati rapimenti e scontri tra forze di sicurezza e indipendentisti del MFDC, la circolazione è da considerarsi pericolosa fuori dai centri abitati. L'utilizzo delle strade secondarie è inoltre sconsigliato per la presenza di mine (in particolare nella zona di frontiera tra Senegal e Guinea Bissau) e per gli atti di banditismo, sempre possibili anche sulle rotabili principali”, si legge sul sito Viaggiare Sicuri.
In Senegal le problematiche maggiori sono quindi rappresentate da conflitti interni e criminalità. Restano ad alti livelli anche i dati di analfabetismo, discrepanza del numero tra maschi e femmine e il rischio di malattie, come dimostrato nel 2004 dall'epidemia di colera.

Nigeria
In Nigeria la questione principale è rappresentata dai terroristi di Boko Haram. Le violenze che si sono scatenate negli ultimi mesi hanno aumentato i già alti numeri dell'emigrazione dal Paese. Le milizie di Boko Haram sono l'aspetto più estremo di una convivenza difficile tra cristiani e musulmani, tensioni che hanno dilaniato la nazione lungo i decenni.
Il terrorismo è però uno degli aspetti problematici dello Stato, afflitto anche da fame, malattie e danni ambientali. Il delta del Niger è martoriato dallo sversamento di greggio estratto dai giacimenti locali, che va a danneggiare pesantemente pesca e agricoltura. Disastri che Amnesty International denuncia da anni, ma che restano inascoltati a causa della potenza degli operatori del petrolio.
Tra le piaghe sociali anche quella delle mutilazioni genitali femminile, da poco vietata dal governo di Abuja. Una triste tradizione che invece prosegue in molte zone africane.

Kosovo
Nel 1999 la Nato interviene in Kosovo per contrastare la Repubblica Federale Jugoslava di Slobodan Milosevic. Un conflitto ricordato anche in Italia, dal dove partirono diverse operazioni aeree verso la regione. Gli attacchi durarono 78 giorni e, alla fine, per il Kosovo sembrava potersi aprire un futuro di nuove prospettive. Il problema che maggiormente affligge la regione è lo scontro tra etnie; albanesi, la maggior parte, e serbi, periodicamente devono fare i conti con ruggini secolari che ancora oggi portano a conflitti e uccisioni. Conseguentemente, anche l'odio religioso gioca la sua parte.
Tuttora la Nato è presente in Kosovo, segno di come il focolare delle proteste desti sempre preoccupazione. Questa condizione ricade sull'economia locale, una delle più povere d'Europa. Senza contare la minaccia dell'Isis, che vuole rivendicare i diritti dei musulmani nei Balcani. Abitanti della zona si sarebbero uniti alle forze degli estremisti islamici.

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