L'ex sindaco di Londra non sarà il leader dei Tory (e il nuovo primo ministro): in lizza Michael Gove e Theresa May. E intanto l'Ue preme per l'uscita
L'ex sindaco di Londra Boris Johnson ha annunciato a sorpresa che non intende "candidarsi alla leadership dei conservatori" e quindi di primo ministro della Gran Bretagna. "Essendomi consultato con i colleghi e in considerazione delle circostanze in Parlamento - ha spiegato - ho concluso che quella persona non posso essere io". Ha inoltre precisato che è importante ora "mettere insieme chi ha fatto campagna per il Remain e per il Leave".
Dopo aver dichiarato che la Gran Bretagna prospererà fuori dalla Ue e che Londra deve negoziare un accordo che le consenta di mantenere liberi scambi recuperando il controllo del suo sistema migratorio, l'ex sindaco di Londra ha spiegato che "questa è l'agenda per il prossimo premier", aggiungendo però che "quella persona non posso essere io".
"Non sono comunista, sono un conservatore che vuole tagliare le tasse, ma voglio un capitalismo più giusto nei confronti dei dimenticati", ha sottolineato Boris Johnson nel discorso in cui ha rinunciato alla candidatura per la leadership Tory. La Brexit, ha detto ancora, "è la nostra chance per creare un'economia nella quale tutti possano beneficiare del loro successo. Ci sono troppe persone che non hanno visto aumentare i loro stipendi. I grandi boss della finanza guadagnano 150 volte in più dei loro impiegati. Una volta era solo cinquanta volte in più".
In corsa Gove e la May - Sostenendo che Johnson non ha le qualità di leader necessarie per guidare il Paese in questa fase, alla leadership conservatrice si è così candidato Michael Gove, ministro della Giustizia ed eminenza grigia della campagna per la Brexit. In gara c'è anche Theresa May, ministro dell'Interno, che si pone come candidata unitaria con l'obiettivo di ricucire lo strappo della Brexit nel partito.
Altri guai per Corbyn - Se in casa conservatrice si è aperta la battaglia sulla successione, tra i laburisti continuano invece i guai per il leader Jeremy Corbyn. Il quale, questa volta, è finito nella bufera per aver paragonato l'Isis a Israele alla presentazione di un rapporto del Labour sull'antisemitismo. "I nostri amici israeliani - ha detto - non sono responsabili delle azioni di Israele o del governo di Netanyahu, così come i nostri amici musulmani non sono responsabili delle azioni del cosiddetto Stato islamico". Immediata la reazione indignata dei media israeliani e dei sostenitori ebrei del partito laburista. Corbyn ha poi negato di aver paragonato Israele all'Isis, ma non ha voluto rispondere alle domande dei reporter.
L'Ue spinge per l'uscita - In Europa, invece, si continua a premere per l'uscita di Londra dall'Ue. E il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, ha sottolineato che "non possiamo trattare il referendum in Gran Bretagna come fosse un non-evento. E' stato un evento in cui il popolo britannico ha deciso che il Paese dovrà lasciare l'Unione europea. Ora aspettiamo la notifica formale. Tutto il resto seguirà". Da parte sua Miroslav Lajcak, ministro degli Esteri slovacco, durante la conferenza stampa di presentazione della presidenza di turno Ue ha sottolineato che nel negoziato con la Gran Bretagna dopo l'attivazione dell'articolo 50 "saremo flessibili", ma quello sulle relazioni future con l'Ue "non sarà un accordo speciale", fatto cioè su misura.