Dal 2013 il governo di Canberra ha intrapreso un'operazione politico-militare per la gestione dell'immigrazione via mare nel Paese
"Il mio obiettivo è il 'No way' australiano. Nessun migrante soccorso in mare mette piede in Australia". Così il ministro dell'Interno Matteo Salvini si è espresso sul caso della nave Diciotti, ferma a Catania con oltre cento profughi a bordo in attesa di sbarco. Il vicepremier ha quindi riportato l'attenzione sul provvedimento applicato dall'Australia nel corso degli ultimi anni in tema di immigrazione. In cosa consiste il "No Way"?
Il governo di Canberra ha portato avanti la stretta sugli sbarchi nel Paese a partire dal settembre 2013, su iniziativa dell'allora premier conservatore Tony Abbott. L'operazione politico-militare è stata ribattezzata “Sovereign Borders”, con l'obiettivo di respingere o deportare ogni migrante arrivato illegalmente via mare in territorio australiano. Una linea dura, applicata tramite il dispiegamento di unità militari per sorvegliare le coste e intercettare le imbarcazioni.
“Sovereign Borders” è stata lanciata da una campagna informativa ribattezzata appunto “No way”, campagna accompagnata da un video ufficiale del governo, con protagonista il generale Angus Campbell (comandante dell'operazione) intento a spiegare gli effetti del provvedimento. "Non ci si può stabilire in Australia arrivando illegalmente via mare”, il succo del messaggio, pubblicato inizialmente in inglese e poi in altre lingue e versioni.
In seguito a “Sovereign Borders”, le imbarcazioni di migranti intercettate in acque australiane possono essere riportate nei porti di partenza (in particolare in Indonesia e Sri Lanka), le persone a bordo possono invece essere condotte in centri di identificazione a Papua Nuova Guinea e sull’isola di Nauru, per la valutazione delle domande di asilo e l'eventuale concessione del diritto limitato però solo a queste due località.
Un'operazione costosa (secondo le stime del governo australiano a cavallo tra il 2014 e il 2014 equivalente a circa 300 milioni di euro), solo per le spese militari, quindi escludendo quelle legate ai centri di accoglienza.