L'ultima vittima, agli inizi di ottobre: un surfista il cui corpo non è stato mai trovato. Secondo un docente della Macquarie University di Sydney la media dovrebbe essere di un decesso all'anno
È uno dei predatori più letali del pianeta. Dal 1975, anno di uscita del capolavoro di Steven Spielberg, è diventato lo spauracchio dei bagnanti di buona parte del mondo: si tratta dello squalo. Quest'anno per l'Australia il terribile cacciatore del mare non è una paura dell'immaginario collettivo ma un pericolo reale, più letale che mai: dall'inizio dell'anno, infatti, sono sette le vittime di attacchi di squali, a fronte di una media di un morto all'anno negli ultimi 50 anni.
Le cifre - L'ultima vittima è stata un surfista agli inizi di ottobre. Sono stati mobilitati soccorritori e droni per la perlustrazione aerea ma dopo giorni di ricerche è stata trovata solo la sua tavola da surf. Gli episodi si sono verificati a ovest come a est dell'isola: 4 nello stato del Queensland, 1 nel New South Wales e 2 nel Western Austalia. Il numero di attacchi - 21 nel 2020 finora - invece è nella media.
Gli oceani che cambiano - A cosa è dovuta questa maggiore mortalità? Per Culum Brown, professore presso il Dipartimento di Scienze Biologiche della Macquarie University di Sydney, una delle causa è il cambiamento climatico. Le acque si stanno riscaldando e gli ecosistemi stanno subendo una vera e propria rivoluzione. Di conseguenza molte specie - tra cui anche alcune prede degli squali - per sopravvivere si spostano in acque in cui non si erano mai viste e con loro i grandi predatori. E molto spesso i nuovi ambienti sono coste frequentate dagli bagnanti e surfisti. Di conseguenza, gli "incontri ravvicinati" dalle conseguenze fatali sono più probabili.