dopo tre anni di guerra

Iraq e Iran contro gli Usa: "Milizie sciite futuro della regione"

Lo scontro diplomatico avviene all'interno dello scacchiere mediorientale. Sconfitto l'Isis, rischiano di esplodere conflitti tra i vincitori, in primis contro i curdi che vorrebbero un proprio stato

25 Ott 2017 - 12:16
 © ansa

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Il Segretario di Stato americano Rex Tillerson aveva esortato le milizie sciite a lasciare l'Iraq, ma sia da Baghdad sia da Teheran è arrivata una netta presa di posizione contro le sue parole. Sono proprio i leader iracheni a difendere le milizie legate all'Iran perché in questi giorni hanno contribuito alla riconquista da parte dell'Iraq dei territori occupati dai curdi. Il Primo ministro Haider al-Abadi, infatti, ha definito i combattenti sciiti "la speranza dell’Iraq e della regione".

Le milizie sciite irachene: "Gli Usa chiedano scusa" - I vertici delle milizie sciite irachene affermano che gli Stati Uniti devono "chiedere scusa" per i loro commenti inappropriati, sottolineando che le parole di Tillerson "sulla presenza di forze iraniane in Iraq sono inaccettabili".

Cenni storici - Quando nel 2014 l'Isis attacca il nord dell'Iraq, l'esercito regolare iracheno ha evacuato completamente la città di Mosul, lasciandola nelle mani di Isis. Durante la fuga, l'esercito ha lasciato dietro di sé molte armi che sono state utilizzate dai jihadisti. Unico baluardo rimasto, i peshmerga curdi hanno condotto la prima fase dell'offensiva per la riconquista di Mosul e collaborato in modo determinante al suo successo avvenuto agli inizi dello scorso luglio da parte dell'esercito iracheno. Si arriva al 25 settembre scorso: Mosul è liberata da un paio di mesi e i curdi organizzano un referendum per la propria indipendenza dall'Iraq. L'esito è scontato, ma le ambizioni indipendentiste sono osteggiate da tutti i Paesi confinanti e solo Israele manifesta il proprio appoggio.

La riconquista irachena - L'esercito iracheno, costituito durante la guerra contro lo Stato islamico, non ha intenzione di lasciare ai peshmerga i territori occupati al di fuori dei confini stabiliti della regione autonoma. Il 16 ottobre, in seguito a scontri con i guerriglieri curdi, a loro volta divisi in fazioni, l'esercito iracheno riconquista la città di Kirkuk, importante centro petrolifero nel nord del Paese. Il 20 ottobre le truppe irachene, composte quasi esclusivamente da forze che rispondono ai leader sciiti iracheni e da iraniani, si sono mosse ancora più a nord, verso Erbil, secondo la volontà espressa dal Primo ministro iracheno Haydar Al-Abadi di voler riportare il Kurdistan nei confini del 2003, quelli prebellici della regione autonoma. Lungo la strada ci sono stati pesanti scontri contro i peshmerga, che sono costati la vita a diversi militari. Anche ieri si sono verificati scontri nei pressi del confine siriano.

Messaggi di distensione - Le autorità curdo-irachene hanno deciso di sospendere i risultati del referendum per l'indipendenza e hanno proposto al governo federale di Baghdad di intavolare un dialogo per risolvere la crisi. Nel frattempo il ministro dell'Interno iracheno ha fatto appello ai civili curdi fuggiti da Kirkuk perché tornino in questa e in altre aree riconquistate dall'esercito. Il ministro ha assicurato che il governo sta lavorando per garantire la pace e la stabilità in queste regioni e la sicurezza per tutte le etnie e religioni, curdi compresi.

La posizione dei Paesi confinanti - La popolazione curda non ha un proprio stato ma ha una propria collocazione abbastanza identificabile e unitaria tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Nel caso di proclamazione di uno stato curdo autonono dall'Iraq, rischierebbe di innescarsi un effetto domino anche negli altri stati, che rischierebbero così di perdere parti, talvolta strategiche per la presenza delle sorgenti di fiumi e giacimenti. Per questo, i Paesi in questione avversano i peshmerga curdi.

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