Nelle ex roccaforti irachene occupate dai terroristi, molte donne si ribellano ai loro mariti per aver la "possibilità di rifarsi una vita"
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In Iraq le mogli dei terroristi del sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria, meglio noto con l’acronimo “Isis”, stanno richiedendo il divorzio in massa nei tribunali delle città in cui i jihadisti nel 2014 avevano dichiarato la resurrezione del Califfato Islamico. La motivazione principale delle protagoniste di questa vicenda è il timore di probabili ripercussioni derivanti dall’essere associate all’Isis.
Si apre un nuovo capitolo nella saga degli orrori dell’organizzazione terroristica islamica più conosciuta del momento. Questa volta le protagoniste sono donne che si sono ritrovate, spesso in maniera involontaria, legate ai militanti dell’Isis e che ora stanno cercando disperatamente di sciogliere tale legame tramite il divorzio.
Le protagoniste Sono donne come Umaima, 41 anni e tre figli ancora piccoli, il cui marito Awad è attualmente detenuto in attesa di una sentenza che molto probabilmente consisterà nella condanna a morte o nel carcere a vita. Umaima è stata colta di sorpresa quando Awad si è unito all’organizzazione terroristica islamica, a suo dire per vendicare la morte del fratello ucciso dai soldati delle Forze armate irachene perché accusato di combattere per l’Isis.
Anche Fatima, 35 anni, si è dichiarata stupita dall’inaspettata decisione del marito Omar di arruolarsi nei ranghi dello Stato Islamico dopo aver servito per anni nell’esercito iracheno prima dell’invasione americana del 2003. Omar è stato arrestato nel 2015 in seguito alla liberazione della città di Tikrit.
Shaima’a, 26 anni, non ha idea di quale sia stata la sorte di suo marito Abdulquader dopo la liberazione. La donna racconta che il marito era stato attirato inizialmente dalla promessa dei terroristi di istituire un dominio in cui il vero Islam avrebbe prevalso. Tuttavia l'uomo si sarebbe pentito della propria decisione, ma non avrebbe potuto tirarsi indietro per paura di essere ucciso dai suoi compagni.
Una vita nel terrore Sebbene il divorzio sia, in genere, fortemente stigmatizzato all'interno delle comunità islamiche sunnite dell'area che mantengono uno stampo conservatore, non è vietato dalla legge irachena ed è accettato dalla maggior parte dei cittadini.
Le preoccupazioni di queste donne non si limitano allo stigma sociale, ma anche alla rappresaglia portata avanti dal governo iracheno nei confronti di chiunque sia sospettato di sostenere la causa dell'Isis. Le autorità locali, infatti, incoraggiano tutti i cittadini a denunciare all'esercito chiunque possa essere militante o sostenitore del nemico, affinché questi possa venire giudicato e condannato a morte o al carcere a vita.
Purtroppo pare doveroso, sebbene superfluo, aggiungere che questa politica, sebbene molto efficace nella lotta al terrorismo, abbia altresì scatenato una sorta di caccia alle streghe in cui molti cittadini iracheni non hanno tardato a cogliere l'opportunità di liberarsi di un eventuale vicino detestato o di un parente scomodo.
L'opportunità di rifarsi una vita Il Vice Ministro della Giustizia iracheno, Hussein Jassem, ha confermato che si è verificato un picco nelle richieste di divorzio in Iraq a partire dall' Aprile 2018. Il canale emiratino di Al Arabiya, una delle emittenti televisive principali in Medio Oriente con sede a Dubai, ha riportato che, sebbene non siano disponibili dati precisi sulle percentuali dei divorzi legati al fattore Isis, si è verificato un netto aumento di richieste nelle regioni sunnite di Anbar e Nineveh in cui lo Stato Islamico aveva posto le basi per l'istituzione del futuro Stato Islamico, ponendone a capitale la città di Mosul, in cui, secondo la Onlus Human Rights Watch, dozzine di donne presentano le proprie richieste di divorzio ogni settimana.
Infatti, la legge irachena consente alle donne di richiedere il divorzio a condizione che queste presentino prove o testimoni a convalidare le proprie ragioni. I divorzi su richiesta della moglie in Iraq vengono solitamente concessi in caso di maltrattamenti o nel caso in cui il marito venga condannato per un crimine, ma la rimostranza principale concessa alle mogli involontarie dell'Isis, alcune delle quali sono state costrette al "matrimonio" con i terroristi dopo essere state catturate da questi ultimi, ha riguardato il danno alla reputazione delle interessate causato dall'affiliazione dei loro mariti al terrorismo.
Dopo aver ottenuto il Divorzio, le mogli dell'Isis avrebbero la possibilità di risposarsi, riscattandosi dallo stigma derivato dalla loro associazione all'organizzazione terroristica.
In conclusione, quella del terrorista islamico non è un'esistenza che si può conciliare con la vita familiare e se, come sostiene Umaina - "essere la moglie di un terrorista non porta onore a me o alla mia famiglia né tantomeno ai miei bambini", gli uomini che hanno scelto questa strada dovranno essere pronti ad affrontarne le conseguenze fino in fondo e potranno scordarsi a priori il ritorno ad un focolare sereno quando la guerra sarà finita.