Sono accusati di terrorismo e rischiano fino a quindici anni di carcere. La Svezia convoca l'ambasciatore turco
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È iniziato a Istanbul il processo a undici attivisti per i diritti umani accusati di terrorismo. Tra questi anche la direttrice locale di Amnesty International, Idil Eser, un cittadino tedesco, Peter Frank Steudtner, e uno svedese, Ali Gharavi. Rischiano fino a 15 anni di carcere. La Svezia ha convocato l'ambasciatore turco, gli osservatori temono un'accentuazione delle misure autoritarie adottate dopo il tentato golpe del 2016.
L'ombra dei gulenisti - Alla sbarra ci sarà anche il presidente di Amnesty International in Turchia, Taner Kilic. L’attivista è stato a arrestato a giugno perchè sospettato di legami con il fallito golpe del 15 luglio 2016 contro il presidente Recep Tayyp Erdogan. Secondo l’accusa avrebbe scaricato ByLock, un app di messaggistica per smartphone ritenuta prova di legami con i militanti vicini a Fetullah Gulen, il predicatore accusato di aver fomentato la rivolta antigovernativa.
La Svezia convoca l'ambasciatore - Gli altri dieci sono stati fermati dopo un blitz della polizia sull’isola di Buyukada, di fronte a Istanbul, dove stavano partecipando a un convegno sul digitale. Particolarmente delicata la posizione del cittadino svedese, Ali Gharavi, accusato di aver aver insegnato ai militanti come nascondere i dati sensibili e inviare messaggi criptati. Stoccolma ha convocato l'ambasciatore turco per espriremere la sua "preoccupazione" riguardo alla vicenda giudiziaria. Tutti gli imputati, di cui otto sono ancora in stato di detenzione, rischiano fino a quindici anni di carcere per "appartenenza ad organizzazione terroristica armata" o "sostegno ad organizzazione terroristica".
Amnesty difende i colleghi - L’arresto degli attivisti ha scatenato proteste e polemiche. La polizia è intervenuta per presidiare la piazza davanti al palazzo di giustizia in previsione di eventuali disordini. Intanto, Amnesty International si sta mobilitando per supportare i colleghi sotto processo. "Le autorità turche hanno cercato di montare un caso contro gli undici difensori dei diritti umani con accuse prive di sostanza e di fondamento, ha detto il direttore di Amnesty per l'Europa e l'Asia centrale, John Dalhuisen. "Tre mesi dopo l'arresto, la pubblica accusa non ha portato alcuna prova - ha aggiunto - non ci dovrebbe volere neanche mezz'ora al giudice per archiviare tutto".
Libertà civili a rischio - Secondo Amnesty, il processo è un’occasione per dimostrare, "sotto gli occhi del mondo", che stare dalla parte dei diritti umani non è un reato in Turchia. Una presa di posizione importante, che si inquadra nelle polemiche seguite alla svolta autoritaria impressa dal presidente turco Erdogan. Migliaia di oppositori politici, accusati di aver appoggiato il tentato colpo di stato del 2016, sono stati arrestati o destituiti dai loro incarichi pubblici. Ora, a pochi mesi dal referendum che ha sancito l’adozione di un sistema di governo fortemente incentrato sulla figura del presidente, gli osservatori internazionali temono un’ulteriore restrizione delle libertà politiche e civili nel Paese. Il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo hanno chiesto il rilascio degli attivisti detenuti, come anche la Germania, la Svezia e diverse organizzazioni non governative. "Questo è solo in apparenza un processo contro i difensori dei diritti umani che partecipavano a un seminario", ha ribadito John Dalhuisen. "Di fatto è il tutto il sistema giudiziario turco e le stesse autorità a essere sotto processo".