La Turchia minaccia l'intervento militare: "Adotteremo qualsiasi misura per difendere la sicurezza nazionale". Solo Israele al fianco degli autonomisti
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Si sono aperte nel Kurdistan iracheno le operazioni di voto per lo storico referendum sull'indipendenza. Le conseguenze del voto sono imprevedibili, sia per l'Iraq che per gli altri Paesi dell'area, a cominciare dalla Turchia. Sono chiamati al voto 5,3 milioni di elettori, tra cui i cittadini nella provincia contesa (e ricca di petrolio) di Kirkuk. Ankara minaccia un intervento militare, Baghdad invia le truppe federali.
Un nuovo Stato indipendente - I risultati saranno resi noti entro il 28 settembre, ma già si profila una netta vittoria del fronte indipendentista. Se le previsioni fossero confermate, il Kurdistan iracheno - attualmente una regione autonoma all’interno della Repubblica federale dell’Iraq - diventerebbe uno Stato indipendente. E si aprirebbe la strada, per la prima volta nella Storia, alle rivendicazioni dei curdi turchi, siriani e iraniani.
Proud to cast my vote earlier this morning and partake in this historic day, the day of the #KurdistanReferendum pic.twitter.com/aDP16ZQiud
— Masoud Barzani (@masoud_barzani) 25 settembre 2017
La Turchia minaccia ritorsioni - Voluto dal presidente della regione, Massoud Barzani, il referendum è osteggiato dai Paesi dove vivono importanti minoranze curde. Particolarmente alta la tensione in Turchia: secondo il quotidiano Hurriyet, il presidente Erdogan avrebbe ordinato la chiusura della frontiera con l’Iraq. Il governo ha smentito, ma si è detto pronto a prendere "qualsiasi misura" (compreso l’intervento militare) per far fronte a eventuali minacce alla sicurezza nazionale. Preoccupato anche il presidente siriano, Bashar al Assad, che ha definito "uno scherzo" il tentativo di trasformare le elezioni dei rappresentanti locali, svoltesi in questi giorni, in una sorta di prova generale per l’autonomia. L'Iran, grande alleato del governo sciita di Baghdad, ha definito "prematura e sbagliata" la consultazione referendaria, appellandosi all'unità del popolo iracheno. Ad appoggiare l’iniziativa di Barzani c’è solo Israele, che vede con favore la nascita di un nuovo Stato laico in Medio Oriente.
La lotta per il petrolio - Le circoscrizioni elettorali si estendono al di là del Kurdistan iracheno vero e proprio, coinvolgendo anche popolazioni assire, arabe e turcomanne. La regione di Kirkuk, ricca di petrolio, è stata strappata all’Isis nel 2014 dalle milizie Peshmerga. Da allora i curdi si rifiutano di restituirla al governo centrale. Ed è proprio l’idea di uno Stato esteso anche a zone non a maggioranza curda a preoccupare le Nazioni Unite, che temono una nuova esplosione di violenza etnica in Iraq.
Mobilitato l'esercito di Baghdad - Il rischio di perdere parte delle riserve petrolifere del Paese ha sollecitato la pronta reazione del governo centrale. Il Parlamento iracheno ha approvato una serie di misure per neutralizzare gli effetti del referendum. Secondo la tv panaraba al Arabiya, l'assemblea legislativa di Baghdad ha approvato il dispiegamento delle truppe federali in tutti i territori controllati dalle milizie curde.
Un distacco graduale - La comunità internazionale teme che un nuovo Stato possa destabilizzare il fragile equilibrio geopolitico del Medio Oriente. Ma nonostante la fortissima spinta autonomista, le prime rassicurazioni giungono proprio da Barzani. Il presidente ha chiarito che una vittoria del sì non porterà a una dichiarazione di indipendenza, ma solo all’apertura di un lungo negoziato con il governo federale iracheno. I colloqui con l’Iraq, già avviati nei giorni scorsi, si concentreranno sulla gestione delle risorse petrolifere e delineeranno una "road map" per un distacco graduale da Baghdad.