Il cooperante era stato rapito da Al Qaeda nel 2012 e fu ucciso nel 2015 durante un'operazione americana. Obama se ne scusò, ma il Dipartimento di Giustizia Usa fa muro all'inchiesta italiana
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Non bastarono le scuse dell'allora presidente americano Barack Obama ad aprire uno squarcio di verità sulla morte di Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano rapito in Pakistan da Al Qaeda nel 2012 e ucciso durante un'operazione americana con i droni nel 2015. Il pm Erminio Amelio si appresta a chiedere, per la seconda volta, l'archiviazione dell'inchiesta, perché il Dipartimento di Giustizia Usa si è opposto alla richiesta di vagliare tutta la documentazione segreta sul caso. "Mina la sicurezza degli Stati Uniti", la motivazione. Ma all'archiviazione la famiglia di Lo Porto si opporrà nuovamente.
Le scuse di Obama, le uniche nella storia delle operazioni militari Usa, dall'Afghanistan alla Somalia, dirette ai familiari delle vittime, e il risarcimento di un milione e 185mila euro non rendono giustizia a Giovanni Lo Porto, che si trovava in Pakistan per una Ong tedesca quando nel 2012 fu rapito da un gruppo vicino ad Al Qaeda insieme al collega americano Warren Weinstein. E con lui rimase ucciso, nel 2015, nel covo dove era tenuto prigioniero, sotto un "signature strike", un attacco cioè in cui i droni colpiscono obiettivi alla cieca.
Così, alla richiesta di avere tutta la documentazione segreta sull'operazione, gli Usa hanno risposto picche. E, come anticipa La Repubblica, per la procura romana "il caso è da archiviare". Ma i legali della famiglia Lo Porto sono convinti che ci siano ampi margini per proseguire le indagini. "Si esplorino altre piste investigative - chiedono. - A partire da una richiesta di rogatoria internazionale nei confronti del Pakistan, dove si è aperto un dibattito pubblico sugli attacchi con i droni".
La famiglia si era già opposta a una prima archiviazione dell'inchiesta, ma la mancata collaborazione da parte degli Stati Uniti porterà a una seconda richiesta da parte del pm. La verità si allontana.