#bringbackourgirls

La storia di Amina: libera da Boko Haram, “prigioniera” del governo

A maggio è stata la prima delle 200 giovani rapite dagli integralisti islamici a tornare indietro viva. Da allora vive in una località segreta controllata dai servizi segreti nigeriani. “La temono perché..."

di Sauro Legramandi
13 Gen 2017 - 14:00

Amina Ali Nkeki è stata “liberata” 148 giorni fa. Quel 18 maggio 2016 la Nigeria e il mondo intero tiravano un timido sospiro di sollievo: Amina era la prima ragazza a tornare viva delle duecento compagne di scuola sequestrate nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2014 nell’enclave cristiana di Chibok da un commando di Boko Haram. Con lei uno dei presunti capi miliziani islamici, identificato come Mohammed Hayatu, e loro figlio di quattro mesi, nato durante la prigionia.

Nessuno immaginava che Amina stesse uscendo da 765 giorni di sequestro per entrare in un mistero lungo, appunto, 148 giorni. La ragazza infatti non ha ancora fatto ritorno nel suo villaggio di Mbalala, ha rivisto la sua famiglia una volta sola a luglio e praticamente non ha parlato quasi con nessuno. Amina è sotto la protezione dei servizi nigeriani in una località non meglio precisata nei pressi della capitale Abuja.

Perché? Qualcuno dice che il governo non vuole che racconti i fallimenti dell’esercito nigeriano nella caccia ai rapitori (compresi i raid costati la vita a sequestratori e sequestrate). Qualcun altro, secondo fonti dell'agenzia Associated Press, teme che possa ribadire il desiderio di riunirsi con il padre di suo figlio (“E’ una vittima come me, è stato rapito come me da BokoHaram e costretto a combattere al loro fianco” ha detto di lui ai governativi).

All’appello mancano ben 196  ragazze - Amina oggi non è l’unica rapita ad essere "in libertà": ad ottobre il governo nigeriano ha negoziato e ottenuto il rilascio di altre 21 ragazze. Altre due sono state trovate a novembre e nei giorni scorsi. Tutte vivono sotto il controllo del governo: fonti istituzionali hanno fatto sapere che le sopravvissute vengono curate fisicamente e supportate da un punto di vista psicologico. Intento nobile senz’ombra di dubbio ma decisivo potrebbe essere il reinserimento nella famiglia d’origine (anche se, secondo la cultura locale, non è detto che queste siano disposte a riabbracciarle), il ritorno a scuola e a quella vita “normale” interrotta poco più di mille giorni fa. Quella normalità che le stesse autorità promisero loro poche ore dopo la liberazione, mostrandosi al loro fianco davanti a telecamere e fotografi. Quella stessa normalità chiesta da tutto il mondo (Michelle Obama per prima) con un hashtag, #bringbackourgirls.

Lo "scoop" della Cnn e la paura della madre - Amina (la cui età stimata è di vent’anni) è stata trovata in una foresta con il suo rapitore-compagno e un figlio di quattro mesi. Da allora ha parlato solo una volta con un giornalista, poco dopo la diffusione da parte degli integralisti islamici, di un filmato di minacce. Ad agosto alla Cnn la nigeriana ha avuto parole tenere per Mohammed Hayatu (“Non mi piace il modo in cui ci hanno separato ma nonostante tutto continuo a pensarti” gli ha fatto sapere) e ha ammesso di non ricordare le circostanze del rapimento. “Per un anno siamo rimaste tutte insieme - ha dichiarato - poi le più giovani sono state date in sposa ai miliziani. Boko Haram non mi fa paura”.

Di recente Amina ha parlato al telefono (qualcuno digita su un telefono fisso il numero da chiamare, le passano il ricevitore e poi riattaccano) con il fratello Noah, confermando l’intenzione di tornare a scuola. Impossibile comunicare con la madre Binta, nata e cresciuta in una zona dove il telefono non è ancora arrivato. Ma Binta ha paura per la figlia. “Ogni tanto mi chiedo se sia viva o morta” ha confidato all’Associated Press.

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