Nella zona del Lago Ciad si vive una delle più grandi crisi umanitaria del continente africano, con oltre 2,7 milioni di rifugiati
"Sparavano in ogni direzione, ho contato 18 corpi intorno a me. Noi siamo riusciti scappati". Così Falmatou, 45 anni, racconta la fuga, assieme agli otto figli, dal suo villaggio, Assaga, nel nord della Nigeria dopo un attacco di Boko Haram. Oggi la donna vive in una in un campo rifugiati nel Niger meridionale: "Siamo arrivati qui a mani vuote, non abbiamo avuto tempo di portare nulla, ma non tornerei mai indietro".
"Sogno una casa vera, ma non tornerò mai nel mio villaggio: voglio andare avanti" - "Quando siamo arrivati qui, le persone che hanno avuto compassione ci hanno dato cibi e vestiti. Oggi facciamo quello che possiamo, come piccoli lavoretti, per poter mangiare - continua Falmatou -. Il problema maggiore è il non avere una casa: la nostra tenda è piccola. Vorrei dormire tranquillamente con i miei bambini, sogno di avere una casa vera. Ma ad Assaga non tornerò più, là c'è solo sofferenza. Voglio andare avanti non voglio più tornare indietro".
Nella zona del Lago Ciad la più grande crisi umanitaria dell'Africa, 2,7 milioni di rifugiati - La storia di Falmatou è una delle tante storie, spesso molto simili, che si possono sentire nei campi profughi nella zona del Lago Ciad, dove si vive una delle più gravi crisi umanitarie del continente africano, con più di 2,7 milioni di persone sfollate.
"La violenza è servita solo ad aggravare una crisi preesistente - ha detto Isabelle Mouniaman, capo progetto di Medici senza frontiere in Nigeria -. Questa zona è già colpita dalla povertà, dall'insicurezza alimentare, le ricorrenti epidemie e un sistema sanitario pressoché inesistente. Le persone hanno bisogno di servizi di base come cibo, acqua, ripari e assistenza sanitaria."