La strategia del terrore

Le radici della guerriglia jihadista in Bangladesh

Quasi cinquanta brutali omicidi in diciotto mesi: il governo ha a lungo negato la presenza dell'Isis. Nel settembre 2015 era stato ucciso anche un italiano

02 Lug 2016 - 12:57

L’escalation terroristica in Bangladesh non stupisce gli analisti di politica internazionale: l’attentato di ieri si inserisce in una scia di sangue iniziata già nei primi mesi del 2015, e ad oggi sono quasi cinquanta gli omicidi rivendicati da formazioni integraliste islamiche in diverse zone del Paese. Tra le vittime, stranieri e bengalesi non allineati con l’interpretazione più severa dell’Islam.

Sotto i colpi dei terroristi sono caduti blogger, professori universitari, giornalisti, attivisti per i diritti umani: quest’ultimo è stato il caso dell’italiano Cesare Tavella, cooperante assassinato a colpi di pistola il 28 settembre 2015 mentre faceva jogging in una strada di Dacca. Due mesi dopo, in un attacco rivendicato dall’Isis, era stato ferito gravemente anche il missionario Piero Parolari.

Fino alla strage nel quartiere diplomatico di Dacca, gli assassini dell’Isis avevano condotto attacchi mirati contro vittime prescelte. Tra le posizioni politiche e religiose che non hanno perdonato, anche quelle dell’attivista omosessuale Xulhaz Mannan, 39 anni, accoltellato a morte lo scorso 25 aprile. Mannan lavorava per l’Agenzia Usa per lo Sviluppo Internazionale ed era l’editore della prima e unica rivista LGBT bengalese, Roobpaan. È stato ucciso in casa insieme al suo compagno da un commando di cinque o sei persone. Una settimana prima, la primo ministro Sheikh Hasina aveva definito “pornografici” i suoi articoli.

Il numero di aprile del magazine di propaganda jihadista Dabiq conteneva un’intervista al presunto leader dell’Isis in Bangladesh. Lo sceicco Abu Ibrahim al Hanifi, forse pseudonimo di Jamin Chowdhury, aveva delineato una strategia di crescita per le formazioni terroristiche regionali: “Una forte base jihadista in Bengal [cioè in Bangladesh, Ndr] permetterà di condurre attacchi di guerriglia in India simultaneamente da est e da ovest, creando paura e caos nel Paese con l’aiuto dei mujaheddin già sul posto”.

Nonostante il moltiplicarsi degli omicidi e le frequenti rivendicazioni da parte di estremisti islamici, il governo bengalese ha a lungo negato la presenza nel Paese di gruppi legati al Califfato. Questo ha forse facilitato le operazioni di reclutamento da parte di Abu Ibrahim al Hanifi, che ha reclutato un numero di adepti sempre maggiore e li ha dislocati in due gruppi, nelle zone di Mirpur e Gazipur. Oggi, tuttavia, dopo l’ultimo attentato a Dacca, la premier Hasina ha dichiarato che il suo governo è determinato a sradicare il terrorismo.

In giugno, la polizia ha condotto un’operazione imponente che ha portato all’arresto di circa dodicimila persone, ufficialmente per contrastare la violenza islamista. D’altra parte, gli esperti di controterrorismo dell’International Crisis Group sostengono che il governo di Hasina sia piuttosto impegnato a consolidare il proprio potere e reprimere il dissenso. Secondo la Associated Press, infatti, molti degli arrestati erano malviventi di basso livello o membri dell’opposizione politica; i presunti estremisti sarebbero stati in tutto 119.

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