LA STORIA

"Mi sono convertita all'Islam per finta, dovevo salvarmi", Edith Blais, rapita in Mali con il fidanzato italiano, racconta i 15 mesi da incubo in Africa

La cattura, la fame, la fuga: la canadese in un libro ripercorre l'avventura vissuta insieme al padovano Luca Tacchetto

12 Gen 2021 - 08:55

L'incontro con Luca Tacchetto, il colpo di fulmine. Il viaggio in auto da Padova verso il Togo, il sequestro. La fame, la separazione e la finta conversione. Quindi la fuga, la liberazione. Non è un film, è vita vera. Quella vissuta da Edith Blais, ragazza canadese sequestrata per 15 mesi tra il dicembre del 2018 e il marzo del 2020 in Africa. Tra pochi giorni uscirà in Francia "Le sablier", un libro autobiografico che svela molti dettagli inediti del suo rapimento.

Edith conosce Luca nel 2016. Da quel giorno fanno diversi viaggi insieme. Quello del dicembre 2018 è sicuramente il più avventuroso: dal padovano all'Africa centrale, in auto. In Burkina Faso, a 50 km dal confine, all'interno del Parco degli Elefanti vengono rapiti. "Ci aspettavano sei uomini in turbante, armati di kalashnikov. Quattro di loro si gettarono su Luca, puntandogli contro le pistole come pazzi", riporta il "Corriere del Veneto" offrendo un'anticipazione dei contenuti del libro di Edith in uscita in Francia. 

La canadese racconta dei continui passaggi da una banda al di rapitori all'altra, alcune composte da bimbi-soldato. "Potevano avere dai 13 ai 15 anni, militari in miniatura con in mano grandi kalashnikov". Il 4 marzo del 2019, 79 giorni dopo il rapimento, Luca ed Edith vengono separati. I nuovi sequestratori la costringono alla conversione all'Islam, Edith finge di accettare: "Mi sono lavata e ho indossato il hijab, dovevo sopravvivere e la conversione era il male minore. Oggi non ho conservato nulla di questa religione".

Dopo undici mesi Edith e Luca possono riunirsi. Quindi il ragazzo progetta la fuga:  è la fine dell'incubo. Un camion intercettato lungo il cammino li porta a Kidal, davanti a un edificio governativo. Vengono poi portati in aereo fino a Bamako, la capitale del Mali, dove incontrano un delegato dell'Onu: "Avrei voluto stringergli la mano, ma invece mi ha offerto il suo gomito. L'ambasciatore ha capito che non sapevamo nulla e quindi ci ha spiegato che eravamo nel bel mezzo di una pandemia. Per la prima volta ho sentito parlare del coronavirus".

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