Ecco i Paesi che hanno accolto più migranti
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Tra i 54 Stati che compongono l'Africa, si contano oltre 200 colpi di Stato dall'epoca in cui si sono resi indipendenti a oggi. Il caos si riversa nel Mediterraneo, insanguinandolo. Quali sono le rotte migratorie? Chi le controlla? Cosa fa l'Italia?
di Maurizio Perriello© ansa
Oggi il continente africano è un enorme calderone che schiuma umanità e insaguina il Mediterraneo. Un calderone alimentato da fiamme di violenza ed estremismi, golpe e sfruttamento, appiccate da potenze neoimperialiste che hanno soffiato sulle braci lasciate semi-spente dall'Occidente ex colonialista in via di pensionamento. Le responsabilità sono globali e gravissime. La Francia per ultima ha perso influenza sul suo ex impero, lasciando campo libero ai jihadisti prima e ai russi poi. Tra i 54 Stati che compongono l'Africa, si contano oltre 200 colpi di Stato dall'epoca in cui si sono resi indipendenti a oggi, tentati o riusciti. Basterebbe questo dato a testimoniare l'estrema instabilità politica, l'assenza di Stato e il vuoto socio-economico lasciato dall'Occidente e colmato da russi, cinesi e turchi. Che alimentano il caos per i propri interessi, un golpe alla volta. E che tengono in scacco gli Stati europei e in primis l'Italia con un'arma su tutte: i migranti. Il piano Mattei lanciato dal governo riuscirà a invertire la rotta del caos? Quali sono le rotte migratorie? Chi le controlla? Perché si è arrivati all'emergenza?
Quando parliamo di trattative europee coi Paesi nordafricani, parliamo di Italia e Francia, non di Unione europea. Per un motivo molto semplice: l'Ue non è una nazione, non è un soggetto geopolitico, non è uno Stato, ma un fronte estremamente composito in cui i singoli attori non riescono a trovare una linea comune. Al contrario sono nazioni quelle africane, seppur svuotate di sovranità e legittimazione internazionale. I numerosi golpe hanno abolito lo Stato in molti Paesi, dal Niger al Burkina Faso, consegnando il potere nelle mani di giunte militari non riconosciute da nessuna cancelleria occidentale. Al loro fianco, in maniera indiretta e decisamente oscura, si sono invece schierati i "nuovi" imperi di Russia, Cina e Turchia (membro della Nato ma alleata soltanto di se stessa), in una nuova corsa all'Africa che vuole estromettere del tutto Usa ed Europa dal continente. A maggiore discapito proprio di Francia e Italia, che stanno definitivamente perdendo la loro secolare influenza su quella che era la "Quarta Sponda", dalla Libia all'Algeria e alla Tunisia.
Trattare coi Paesi africani vuol dire trattare con milizie (Wagner su tutte) e con pseudo-istituzioni controllate dagli apparati turchi e russi. Dunque, vuol dire parlare di soldi. Nel 2015 Angela Merkel siglò accordi milionari col presidente turco Erdogan per frenare quei flussi che la politica della sua stessa cancelleria aveva alimentato da Siria, Afghanistan e dall'intero Medio Oriente. Ankara controlla anche la Tripolitania, mentre Mosca la Cirenaica: una Libia divisa insanabilmente è un'atroce debolezza per l'Italia, che non esercita più alcun controllo oltremare per prevenire le partenze. E pensare che soltanto nel 2008 Roma poteva vantare una decisiva influenza sulla sua ex colonia, grazie agli accordi di Bengasi. Poi il vuoto negoziale. E l'immane tragedia dei migranti, che dai campi di concentramento e tortura libici sono stati sversati nel Mediterraneo da disumane reti di trafficanti, per giri d'affari di sporchissimi miliardi e miliardi di dollari. Per poi passare alla Tunisia, da dove attualmente parte il maggior numero di persone provenienti da ogni angolo del continente. E dove ogni intesa per contenere i flussi sembra arenarsi contro l'intransigenza del presidente Saied, nonostante il memorandum firmato il 16 luglio con Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte.
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Non è un caso che, quando decisero la nascita della comunità europea - prima con la Ceca e la Cee, fino ad arrivare all'Ue -, gli Usa intendessero un'Eurafrica che comprendesse anche le "nostre" ex colonie. Si dava per scontato che l'influenza occidentale, in larghissima parte francese, sarebbe proseguita anche dopo l'indipendenza degli Stati africani. E così è stato, tra alti e bassi, per decenni. Ai nostri giorni tutto è precipitato da quando la pax africana voluta da Macron ha cominciato a crollare sotto i colpi di Stato sostenuti da attori stranieri antagonisti. L'identificazione francese col Mediterraneo è cruciale, come testimonia la volontà comune a ogni presidente dell'Eliseo di promuovere una sorta di unione mediterranea di Paesi francofoni proiettati nel bacino. La crisi di Parigi nel Sahel e nell'Africa Occidentale aumenta l'instabilità governativa dei singoli Stati e, di conseguenza, spinge sempre più persone ad affrontare il lungo e letale viaggio che li porterà ad attraversare deserto del Sahara e Mediterraneo per fuggire in Europa. L'arrivo massiccio di migranti irregolari in Italia genera a sua volta tensioni crescenti con la Francia, chiudendo drammaticamente il cerchio. La situazione a Ventimiglia ne è esempio lampante, con centinaia di sconfinamenti di immigrati ogni giorno e l'inevitabile dietrofront imposto dalle autorità francesi, che ci restituiscono senza troppe premure persone dichiarate maggiorenni anche se in realtà hanno 15 o 16 anni (i minori non accompagnati non si possono respingere, ndr). Risultato: caos, incidenti, centri di accoglienza e permanenza che scoppiano, mancanza di sicurezza, malcontento popolare. Oggi la carta assorbente dei flussi migratori è l'Italia, a partire dalla disastrata Lampedusa, mentre una volta era la Libia di Gheddafi.
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Alla base del terribile aumento di migrazioni da Sahel e Africa sub-sahariana ci sono dunque i golpe e i loro effetti: violenza, illegalità, morte. Dopo il colpo di Stato in Niger del 26 luglio, con la deposizione del presidente eletto Bazoum, la "febbre da golpe" ha contagiato anche il Gabon. Lo schema è sempre lo stesso: una giunta militare ha annullato elezioni vinte dal presidente e la chiusura delle frontiere. Prima è stata la volta di Mali, Burkina Faso, Guinea e Ciad. Otto golpe in meno di tre anni tra Africa Centrale e Occidentale. Altri Paesi, come Sudan e Burundi, superano di gran lunga la media con 17 e 11 putsch dall'indipendenza a oggi. La terra del caos, manovrato da vecchi e nuovi colonizzatori (russi, turchi, sauditi, cinesi e jihadisti). Niente di nuovo, visto che anche i primissimi golpe degli Stati neo-indipendenti negli Anni Cinquanta furono sostenuti dalle ex potenze coloniali uscenti come Francia e Belgio, oltre che dagli egemoni Usa. Incluse le uccisioni di leader socialisti come Patrice Lumumba e Thomas Sankara, assunti nell'olimpo degli eroi africani anche nella propaganda dei nuovi "padroni", in primis la Russia. In cambio hanno ottenuto la gestione di tutto ciò che l'Europa teme e brama: i flussi migratori e le risorse naturali di un continente frammentato. Rubinetti da aprire e chiudere all'occorrenza, per ricattare o semplicemente fare pressione su Ue e Usa. Segnali della volontà di un nuovo ordine mondiale multipolare, di una contro-globalizzazione condivisa, senza più sedi univoche a Washington, Parigi o Roma.
L'Italia resta la porta d'Europa per centinaia di migliaia di persone che fuggono da guerra e assenza di futuro. Tantissimi sono minorenni, che sognano vestiti e abitudini occidentali ammirate sui social. Non solo Lampedusa, ma anche Trieste, approdo naturale e allo stremo della rotta balcanica di chi parte dal Medio Oriente. Sono quasi 8mila (7.890) gli arrivi nella città friulana dal 1° gennaio al 31 luglio 2023: la stragrande maggioranza sono afghani, il resto asiatici (Pakistan, Bangladesh, Nepal). I migranti sbarcati in Italia dal 1° gennaio al 1° settembre sono invece 115mila: più del doppio del 2022, il triplo rispetto al 2021. Le coste calabresi e siciliane accolgono soprattutto persone provenienti da Guinea (13.052), Costa d'Avorio (12.763) e Tunisia (9.283). Le rotte gestite da centinaia di reti illegali di trafficanti si snodano su tre direzioni principali: Mediterraneo orientale (Egitto e Turchia), centrale (Tunisia e Libia) e occidentale (Algeria e Marocco, ma anche Sahara occidentale verso le Canarie spagnole).
Il cordone libico è quello tristemente più noto. Viaggiare dall'Africa sub-sahariana e dal Sahel attraverso il deserto e il mare costa da 1.500 a 6mila euro. Una disponibilità che quasi nessuno può permettersi in tempi brevi. Gli aspiranti migranti ci mettono anche quattro o cinque anni per racimolare il denaro richiesto dai trafficanti di essere umani, tramite l'aiuto delle famiglie o prestandosi a sfruttamento e attività illecite. Si paga in anticipo, senza alcuna garanzia. Ai posti chiavi del business sono quasi tutti libici, posti agli snodi di una rete che comprende anche intermediari siriani, eritrei, sudanesi e francofoni, indispensabili per trattare coi migranti nella loro lingua di origine. La rete si dipana anche attraverso punti morti e autostrade invisibili nel deserto. Chi rimane indietro è perduto. Sciacalli umani che spuntano dalla sabbia. Chi riesce ad arrivare nei pressi della costa, viene sbattuto in autentici lager, in cui subiscono violenze, minacce e torture. Chi paga può correre, se ce la fa, su barconi da 500 posti che arrivano a portare anche mille passeggeri. Chi ha paura del mare spesso mosso, viene passato sotto violenza dai passeur o da "addetti al silenzio" pagati appositamente per ridurre i viaggiatori alla ragione. Una gigantesca multinazionale dell'orrore, dal fatturato sommerso di miliardi di dollari, con una gerarchia rigida e corruzione come mantra. C'è chi organizza vitto e alloggio dei migranti negli hangar libici, chi controlla ogni operazione imbracciando le armi, chi organizza i trasporti, chi guida e chi dà il cambio, chi fa le veci dell'organizzatore durante il trasferimento, chi paga mazzette a funzionari e autorità perché chiudano tutti e due gli occhi, chi tiene le comunicazioni, chi accompagna i migranti, chi riscuote e tiene la tesoreria.
Mentre si sbraccia per comunicare la vastità dell'emergenza migranti a governi e istituzioni Ue, Palazzo Chigi ha escogitato il Piano Mattei per riuscire nella missione impossibile: arginare i flussi migratori e contemporaneamente garantire le forniture di energia dai Paesi africani. Partiamo del nome: l'omaggio a Enrico Mattei è un messaggio diretto all'Algeria, che il fondatore di Eni se lo ricorda bene e con ammirazione. Non foss'altro perché durante la guerra civile che ha poi portato all'indipendenza dalla Francia, il ruolo di Italia e Mattei per la causa algerina fu consistente. Più che sulla gestione dei flussi migratori, il piano sembra però incentrarsi su quelli energetici, guardando all'Italia come un gigantesco e cruciale hub di gas nel Mediterraneo. L'Italia però vuole tornare a intervenire direttamente oltremare, come in passato, senza proseguire sulla poco efficace via dei decreti sicurezza e immigrazione. L'obiettivo è spostare parte delle produzioni economiche e industriali in Africa, soprattutto manifatturiere. In parole povere: creare condizioni favorevoli che non spingano la gente a emigrare. Un progetto a dir poco ambizioso, per il quale non basta un Piano Marshall incentrato sull'assistenzialismo, ma un vero e proprio piano industriale. Le incognite e gli ostacoli sono tanti, a cominciare dalla mancanza di Stati stabili con cui trattare le questioni di governance e sviluppo. Il che significa che ci ritroveremo a dover trattare con la Francia, ma anche e soprattutto con Turchia ed Emirati Arabi Uniti, il cui controllo economico e indiretto sull'area è ormai troppo forte e radicato. Anche per quanto riguarda politica agricola, scambio di intelligence e cooperazione tecnologica. Un progetto francamente troppo ambizioso per poter generare effetti concreti e, soprattutto, a breve termine.
Il cuore dell'Africa, insomma, è sempre più di tenebra. Non per colpa sua e non (più) come lo intendeva lo scrittore Joseph Conrad nell'omonimo e celebre Heart of Darkness. Per colpa, maxima culpa, di chi ancora una volta sacrifica l'umanità sull'altare degli interessi privati. L'oligarchia del disumano, l'osanna dello sviluppo, il martirio degli ultimi. Ultimi che si aggrappano ai liberatori, chiunque essi siano, per ritrovarsi in catene lunghe due continenti almeno.