La politica birmana deve già scontare 11 anni di detenzione per precedenti accuse. Nel febbraio 2021 i militari hanno deposto il suo governo, per poi arrestarla e imprigionarla nella capitale Naypyidaw
© Ansa
Un tribunale del Myanmar governato dai militari ha condannato ad altri sei anni di carcere l'ex leader Aung San Suu Kyi per ulteriori accuse di corruzione. Il processo si è svolto a porte chiuse, senza accesso per i media o il pubblico. Ai suoi avvocati è stato inoltre vietato di rivelare informazioni. Suu Kyi deve già scontare 11 anni di detenzione per sedizione, corruzione e altre accuse in precedenti processi, dopo che i militari hanno deposto il suo governo nel 2021.
Secondo una fonte vicina al caso, Suu Kyi è apparsa nell'aula del tribunale militare di Naypyidaw in buona salute. L'ex leader non ha commentato la sentenza.
La condanna di aprile - Subito dopo il golpe militare del febbraio 2021, la politica birmana - ora 77enne - era stata arrestata e messa in carcere in isolamento nella capitale Naypyidaw. Gli ulteriori sei anni che dovrà scontare in cella seguono i cinque comminati ad aprile, quando era stata condannata con l'accusa di aver ricevuto 600mila dollari e oro in tangenti da un ex viceministro.
"Processo politico" - Sulla Nobel per la Pace pendono ancora diverse accuse, per potenziali decenni di detenzione: violazione del segreto di Stato in base a una legge risalente al periodo coloniale, frode elettorale, sedizione e corruzione. Ad aprile, in occasione della condanna a 5 anni, la Commissione europea aveva ribadito che il processo ai danni di Suu Kyi era "politicamente motivato".
L'appello dell'Ue - Bruxelles aveva poi rinnovato l'appello al "rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici e di tutti quelli detenuti arbitrariamente dopo il colpo di stato dell'1 febbraio 2021". Quella sentenza, aveva sottolineato la Commissione Ue, è stato "un altro passo verso lo smantellamento dello stato di diritto e un'ulteriore palese violazione dei diritti umani in Myanmar", oltre che "un altro grande passo indietro per la democrazia".