L'infinita contesa tra Armenia e Azerbaigian è a una svolta. Dal 1° gennaio 2024 saranno dismesse tutte le istituzioni e organizzazioni governative della regione separatista, abitata da armeni ma giuridicamente in territorio azero
di Maurizio Perriello© Afp
La guerra fra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh è a una svolta. L'autoproclamata repubblica separatista armena di Artsakh cesserà di esistere dal 2024. Il decreto emanato dal leader dell'exclave armena in territorio azero annuncia lo scioglimento "di tutte le istituzioni e organizzazioni governative dal primo gennaio 2024". In altre parole: Baku sta vincendo, se non ha già vinto. Subisce dunque un'accelerazione decisiva l'infinita contesa tra Armenia e Azerbaigian, iniziata già con la dissoluzione dell'Unione Sovietica e proseguita nei decenni successivi. Una tragedia umanitaria, che ha provocato migliaia di morti e decine di migliaia di sfollati armeni (oltre 100mila) che abitavano nella regione, giuridicamente in territorio azero. Il premier armeno Nikol Pashinyan ha parlato di "pulizia etnica" e di violazione di un territorio rivendicato per autodeterminazione dal popolo armeno.
La disputa del Nagorno-Karabakh è una storia lunga, finora percepita come vagamente esotica da molti occidentali. Eppure anche lì la crisi, come nella vicina Ucraina, si è acuita fino a sfociare in guerra, con Usa e Russia e Turchia determinate a far valere la propria influenza nella regione caucasica.
"L'analisi della situazione mostra che nei prossimi giorni non ci sarà più alcun armeno nel Nagorno-Karabakh. Questo è un atto di pulizia etnica", ha affermato Pashinyan parlando dell'esodo di massa dei profughi armeni dalla regione contesa. "Questo è anche un atto di privazione della patria, qualcosa che abbiamo a lungo affermato e avvertito dalla comunità internazionale". Il primo ministro ha poi osservato che le dichiarazioni di enti internazionali al riguardo senza azioni concrete sono "un'altra statistica per la storia che permetterà ai Paesi di prendere formalmente le distanze da questo crimine". Senza adeguate misure politiche, queste dichiarazioni da parte degli altri Stati "equivalgono a essere d'accordo con ciò che sta accadendo".
Un tribunale azero ha ordinato l'arresto dell'ex premier dei separatisti del Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, accusandolo di "finanziamento del terrorismo", "creazione di gruppi o gruppi armati illegali" e "attraversamento illegale del confine". Secondo fonti di intelligence, Vardanyan rischia fino a 14 anni di reclusione. Per "giustificare" la propria offensiva nella regione contesa, Baku ha sempre affermato di combattere contro i gruppi separatisti definiti estremisti e terroristi.
Dopo un'offensiva militare e un cessate il fuoco mediato dalla Russia, l'Azerbaigian sta completando la conquista della regione separatista abitata prevalentemente da armeni. Una conquista inaugurata da una prima escalation nel novembre 2020 e un blitz decisivo nel settembre 2022, condotti col supporto della Turchia. Dall'altra parte l'asse Armenia-Russia, da sempre imperniata sul modello protetto-protettore, si è incrinata. Erevan ha cominciato a guardare a Occidente, suscitando i timori e il risentimento di Mosca. In Armenia si sono inoltre moltiplicate le proteste di piazza contro il governo, accusato di non aver fatto abbastanza per difendere la repubblica separatista, ormai condannata al tramonto. Col governo armeno che, a sua volta, accusava il Cremlino della stessa mancanza di iniziativa. Una vittoria schiacciante per l'Azerbaigian, che ora apre la strada a un corridoio Mar Nero-Mar Caspio a lungo bramato dalla Turchia.
La tensione fra i due Paesi era salita già nelle scorse settimane, con le accuse di Mosca all'Azerbaigian di aver violato la tregua nel Nagorno-Karabakh (mediato nel novembre del 2020 proprio dai russi) e la dichiarata volontà azera di aumentare le forniture di gas verso i Paesi vicini e l'Europa, minacciando così la preminenza energetica del Cremlino nell'area. Dall'altra parte la Russia ha però stretto accordi di natura economica e strategica con Baku e il suo partner Ankara, alimentando le rimostranze armene. La ripresa del conflitto nella zona contesa è però determinata anche da fattori prettamente militari, riguardanti la guerra in Ucraina. Senza dimenticare il "grande quadro", che vede l'Armenia protetta dalla grande sorella maggiore russa. Uno schema, quest'ultimo, entrato in crisi.
La Russia si è sempre imposta come garante della sicurezza armena. La presenza dei pacekeeper russi nel corridoio di Lachin, una striscia di terra di appena 9 chilometri che consentiva il collegamento della repubblica separatista del Nagorno-Karabakh con la "madrepatria" armena. L'attacco azero ha però sbaragliato anche quest'ultimo avamposto, ma secondo Erevan gli "alleati" moscoviti si sono scansati (nonostante la morte accertata di alcuni militari russi in loco). La tensione fra Russia e Armenia è salita anche dopo che il Paese caucasico ha autorizzato sul suo territorio, per la prima volta, un'esercitazione militare congiunta con truppe statunitensi. Negando al contempo di ospitare esercitazioni in ambito Csto, l'Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva a guida russa, della quale l'Armenia è membro storico. L'intento era quello di non "provocare" gli avversari turco-azeri, che avrebbero potuto sentirsi "minacciati" da una massiccia presenza militare russa nell'area. Tensione crescente che si riflette anche nei rapporti istituzionali tra Putin e Pashinyan, ulteriorimente incrinati dalla decisione del premier armeno di voler ratificare l'adesione allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Un altro schiaffo a Mosca, visto che su Putin pende un mandato di arresto internazionale.
In contesa armata pressoché perenne dal novembre 2020, Armenia e Azerbaigian hanno conferito una decisa svolta tattica e di potenza offensiva alla guerra. Le Forze armate azere hanno deciso di fare sul serio, penetrando con molte truppe fin dentro il territorio armeno in quella che ha definito "un'operazione antiterrorismo". L'obiettivo di Baku è di aprire un varco terrestre verso la regione autonoma del Nahçıvan, separata dal resto del territorio azero dalla provincia armena di Syunik. Dopo la pressoché totale conquista azera del Nagorno-Karabakh, è questo il nuovo pomo della discordia lanciato sul tavolo del banchetto caucasico, sempre più centro nevralgico globale assieme all'Ucraina. Ma perché l'Azerbaigian ha deciso proprio ora per l'inasprimento del conflitto contro l'Armenia? Il motivo principale è evidente: approfittare delle estreme difficoltà della Russia in Ucraina, che la rendono incapace d'intervenire con efficacia nel Caucaso. A bloccare un possibile aiuto militare russo in favore degli armeni è anche la volontà di Putin di non volersi inimicare la Turchia di Erdogan, che la contrario ha giustificato e appoggiato il blitz azero.
Il Nagorno-Karabakh è una zona montuosa dell'Azerbaigian, Paese a maggioranza musulmana, popolata in grande maggioranza da cittadini armeni e fedeli cristiani. Il territorio si è autoproclamato indipendente nel 1991, dopo il crollo dell'Urss, senza però ottenere alcun riconoscimento a livello internazionale. Questa mossa è alla base della contesa armata fra i due Stati, inaugurata dal primo conflitto azero-armeno tra il 1992 e il 1994. Nel Nagorno-Karabakh e al confine fra i due Paesi scontri e combattimenti non si sono praticamente mai fermati, fino alla ripresa della guerra vera e propria tre anni fa.