Tra gli argomenti più controversi di queste trattative c'è la distribuzione dei possibili profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche di questa vasta area che copre quasi la metà del pianeta
Il più basso: Fossa delle Marianne (Oceano Pacifico) © Istockphoto
Dopo due settimane di trattative, gli Stati membri dell'Onu non sono riusciti a finalizzare il trattato per la protezione dell'alto mare, con diverse importanti controversie che restano ancora aperte e bloccano un accordo cruciale per la salvaguardia degli oceani. Dopo oltre 15 anni di discussioni informali e poi formali per produrre un testo vincolante volto a salvaguardare questa vasta area che copre quasi la metà del pianeta, questa quinta sessione avrebbe dovuto essere l'ultima, come già la quarta a marzo.
"Non siamo mai stati più vicini al traguardo in questo processo", ha affermato il presidente della conferenza Rena Lee. Ma "anche se abbiamo fatto ottimi progressi, abbiamo ancora bisogno di un po' di tempo per arrivare al traguardo", ha aggiunto, ottenendo l'approvazione della plenaria a sospendere i lavori fino a nuova data da destinarsi. Tra gli argomenti più controversi di queste trattative c'è la distribuzione dei possibili profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche dell'alto mare, dove le industrie farmaceutiche, chimiche e cosmetiche sperano di scoprire molecole miracolose.
Rispondendo alle richieste dei paesi in via di sviluppo che temono di perdere potenziali benefici perché non possono condurre questa ricerca costosa, l'ultima bozza di testo ha lasciato sul tavolo la ridistribuzione iniziale del 2% (e fino all'8%) delle vendite future di prodotti da queste risorse che non appartengono a nessuno. Greenpeace aveva accusato giovedì l'Ue, gli Stati Uniti e il Canada di aver trascinato questi negoziati verso il fallimento a causa della loro "avidità"di mantenere queste risorse per loro. Questo trattato riguarda specificamente l'alto mare che inizia dove terminano le zone economiche esclusive (Zee) degli Stati, a un massimo di 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa, e che quindi non è sotto la giurisdizione di alcun Paese.
La buona salute degli ecosistemi marini è fondamentale per il futuro dell'umanità, in particolare per limitare il riscaldamento globale: solo l'1% di questo spazio, che rappresenta il 60% degli oceani, è protetto. Uno dei pilastri del trattato sulla "conservazione e uso sostenibile della biodiversità marina nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale" è quello di consentire la creazione di aree marine protette. "Un passo cruciale negli sforzi per proteggere almeno il 30% del pianeta entro il 2030", ha affermato Maxine Burkett, funzionario per gli oceani presso il dipartimento di Stato americano.