IL CASO

Perù, 11enne incinta del patrigno dopo uno stupro: via libera all'aborto | Ma i vescovi cattolici si oppongono

Una commissione medica di Lima ha acconsentito all'interruzione di gravidanza dopo l'intervento dell'Onu. Ma la Conferenza episcopale locale parla di "violazione del diritto alla vita" e si appella al governo

18 Ago 2023 - 12:22
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In Perù una bambina di 11 anni è rimasta incinta in seguito a uno stupro da parte del patrigno. La madre ha chiesto alle autorità sanitarie di consentire l'aborto terapeutico, il cui via libera è arrivato dopo l'intervento del Comitato dell'Onu sui diritti dell'infanzia. Ma i vescovi cattolici locali hanno lanciato un appello al governo chiedendo di ribaltare la decisione perché ritengono si tratti di un "atto di ingiustizia e violazione del diritto alla vita del nascituro".

La vicenda di Mila - nome con cui è stata ribattezzata la bambina dai quotidiani locali - è stata riportata dall'agenzia Reuters. L'11enne proviene da una famiglia povera del Perù nord-orientale e si ritiene sia stata abusata sistematicamente dal patrigno da quando aveva 6 anni. A giugno di quest'anno è rimasta incinta e il patrigno è stato arrestato e incarcerato, ma per mancanza di prove è stato rimesso in libertà. Nel frattempo la madre della piccola si è rivolta a Promsex, organizzazione non governativa peruviana impegnata nella difesa della dignità delle persone e della loro salute sessuale e riproduttiva. L'Ong ha quindi contattato le autorità sanitarie peruviane per chiedere l'aborto terapeutico.

In Perù è possibile abortire solo se la vita della madre è in pericolo o se rischia danni permanenti, ma come spiega Reuters anche in questi casi le interruzioni di gravidanza sono osteggiate da schiere di politici ultra-conservatori. Una commissione medica della regione di Loreto, dove vive la bambina, ha inizialmente stabilito che Mila non potesse abortire: a nulla sono servite le evidenze portate da Promsex sui rischi legati alla gravidanza per le ragazzine sotto i 15 anni, che hanno una probabilità di morire di tre volte maggiore rispetto alle donne incinte sopra i 20 anni.

Grazie all'intervento dell'Onu, una commissione medica di Lima - la capitale del Perù - ha rivisto la decisione della regione di Loreto e ha acconsentito all'aborto. Ma questo dietrofront ha fatto arrabbiare i vescovi cattolici del Paese. Come riporta Vatican News, in un comunicato stampa la Conferenza episcopale peruviana ha chiesto al governo di "non aprire le porte alla cultura della morte", rifacendosi all'insegnamento della Chiesa sul diritto alla vita dei bambini non nati e sui diritti delle madri.

"Di fronte a questo atto di ingiustizia e violazione del diritto alla vita di un nascituro, alziamo la nostra voce nel rifiuto di questo atto ingiusto e indolente", affermano i vescovi nella nota, aggiungendo che "l'insegnamento costante della Chiesa, in questi casi, è sempre quello di salvaguardare il diritto alla vita" sia della madre che del bambino. La Conferenza episcopale peruviana ha insistito sul fatto che la vita è "un diritto assoluto e inalienabile, perché è un dono divino, che Dio ci chiede di custodire, come afferma il quinto comandamento Non uccidere".

Nel comunicato i vescovi hanno poi ricordato che la Costituzione del Perù e il Codice peruviano per l'infanzia e l'adolescenza riportano che "ogni essere umano è considerato un bambino dal concepimento fino all'età di 12 anni. Lo Stato ha il dovere di proteggere il concepito". Sulla base di tali considerazioni, gli alti prelati affermano l'obbligo del ministero della Salute, e quindi del governo, di opporsi al via libera della commissione medica di Lima e di impiegare moderne risorse ostetriche per proteggere la vita della gestante e del nascituro. Chiedono infine che Mila "sia adeguatamente curata e aiutata a guarire dalle ferite dello stupro, che non sia sottoposta ad aborto, che lo stupratore sia perseguito fino in fondo e che siano evitati nuovi abusi".

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