Autoritarismo, controllo politico dei magistrati, leggi anti-aborto, discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtq+: in questi Paesi lo Stato di diritto è seriamente minacciato
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I fondi del Pnrr verranno sbloccati solo dopo aver effettuato le riforme necessarie. Lo dice a chiare lettere la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in riferimento alle risorse destinate a Polonia e Ungheria. "C'è un accordo molto chiaro in Consiglio Ue. Le riforme devono essere attuate, poi seguiranno gli investimenti previsti" e quindi i fondi europei, evidenzia.
A preoccupare l'Ue è anzitutto la riforma del sistema giudiziario polacco, approvata nel 2019: la Corte di giustizia europea, lo scorso 5 giugno, ha stabilito che il provvedimento "viola il diritto" dell'Ue, infrangendo la rule of law e minacciando l'indipendenza della magistratura. La riforma sarebbe problematica su più fronti, soprattutto per l'eccesso di controllo sui giudici attribuito alla Sezione disciplinare della Corte suprema polacca, istituzione ritenuta dipendente dalla linea del governo. Timori anche per l'obbligo ai giudici di comunicare le proprie attività private: tale norma violerebbe il rispetto della vita privata e la tutela dei dati sensibili.
La Commissione europea ha inoltre avviato una procedura di infrazione contro la Polonia, lo scorso 7 giugno, per la cosiddetta "legge anti-Tusk", che prevede l'istituzione di una commissione di inchiesta per valutare le influenze russe nel Paese tra il 2007 e il 2022. Molti osservatori la considerano una misura ad personam per escludere l'ex premier e presidente del Consiglio europeo Donald Tusk dalle elezioni nazionali che si terranno in autunno. Il periodo sotto osservazione, infatti, comprende gli otto anni in cui Tusk è rimasto alla guida del Paese.
Più in generale, il 7 ottobre 2021 la Corte costituzionale polacca ha negato il primato del diritto comunitario sulla legislazione nazionale, respingendo un principio fondante dell'Unione europea. Per i giudici polacchi alcuni articoli del Trattato di Lisbona sarebbero incompatibili con la Costituzione polacca e, in questi casi, si dovrebbe seguire la legge nazionale.
Sotto accusa anche la stretta contro la comunità Lgbtq+. In Polonia le coppie omosessuali non possono sposarsi né adottare bambini; è proibito qualsiasi accenno all'omosessualità, nel dibattito pubblico e soprattutto a scuola; numerose città si sono autodichiarate "Lgbt-free", ossia liberate dalla comunità queer. Non a caso, nell'ultima classifica di Rainbow Europe la Polonia figura al primo posto tra i Paesi europei con maggiore discriminazione nei confronti del movimento Lgbtq+.
La Polonia si è poi distinta per una legislazione particolarmente restrittiva sul diritto all'aborto, diritto che è negato in quasi tutte le circostanze. Il 27 gennaio 2021 è infatti entrata in vigore una sentenza con cui il Tribunale costituzionale ha eliminato la “malformazione grave e irreversibile del feto o malattia incurabile che minacci la vita del feto” dalle cause legittime per abortire: questa fattispecie riguardava il 90% delle interruzioni di gravidanza praticate nel Paese.
Nel settembre 2022 il Parlamento europeo ha dichiarato l'Ungheria un "regime ibrido di autocrazia elettorale", ovvero un sistema in cui si tengono elezioni, ma non vengono rispettate le norme e i valori della democrazia. Nel 2018 l'Europarlamento aveva segnalato dodici aree di preoccupazione, tra cui indipendenza della magistratura, conflitti di interesse, tutela della vita privata e protezione dei dati, libertà d'espressione, libertà di religione, diritti delle minoranze e dei migranti.
Nel corso degli anni sono inoltre emerse criticità nei confronti della comunità Lgbtq+. L'adozione per le coppie omosessuali è proibita, la Costituzione è stata modificata per introdurre l'idea del matrimonio come unione esclusiva "tra un uomo e una donna", gli studi di genere sono banditi dalle università. Per di più, una legge del 2021, mascherata come tutela contro la pedofilia, ha proibito la "propaganda" omosessuale e transessuale, ossia qualsiasi accenno in pubblico all'omosessualità.
In Ungheria è minacciato anche il diritto all'aborto. Il 15 settembre 2022 è entrato in vigore un decreto del ministero dell'Interno che obbliga i medici a presentare alle donne che vogliono abortire la prova "chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto", ossia un'ecografia del cuore. Un modo per dissuadere le donne dall'interruzione di gravidanza.
A preoccupare l'Ue è anche la concentrazione di appalti pubblici in aziende e persone vicine al governo ungherese. Sotto osservazione pure le presunte azioni intimidatorie nei confronti di svariate aziende: Monika Hohlmeier, presidente della Commissione del Parlamento europeo per il controllo dei bilanci, è stata infatti messa al corrente di “visite della polizia segreta e ingiustificate e frequenti ispezioni con l’obiettivo di imporre sanzioni arbitrarie”. Inoltre, è stato ripetutamente violato il principio della separazione dei poteri: solo nel 2022 l'esecutivo avrebbe modificato il bilancio 95 volte senza coinvolgere i membri dell'Aula.
In Europa esistono molti altri Paesi, non appartenenti all'Ue, che in termini di Stato di diritto non sono allineati agli standard europei. Paesi che, proprio per questo, non riescono a entrare nel club comunitario. Anzitutto la Turchia, che si estende in parte sul continente europeo e che per questo ha potuto presentare domanda di adesione. Il sistema politico turco sta però sperimentando una torsione autoritaria, soprattutto dopo il tentato golpe del 2016. Basti pensare alle campagne diffamatorie del governo nei confronti della comunità Lgbtq+, o alle purghe e agli arresti nei confronti di oppositori politici, giornalisti, intellettuali, militari, giudici, curdi. La riforma presidenziale del 2017, inoltre, conferisce al capo dello Stato ampi poteri esecutivi, accentuando la percezione di un sistema monocratico.
Soggetta a un possibile allargamento dell'Ue è anche la regione dei Balcani occidentali, di cui fanno parte sei Paesi, tutti candidati o potenziali candidati all'adesione: Serbia, Kosovo, Macedonia del Nord, Albania, Bosnia-Erzegovina e Montenegro. Nella comunicazione del 2018 sull’allargamento e sui Balcani occidentali, la Commissione europea ha però descritto in termini negativi la situazione nello Stato di diritto nell'area, affermando che in questi Paesi ci sono “elementi chiari di presa in ostaggio dello Stato, anche attraverso legami con la criminalità organizzata e la corruzione a tutti i livelli del governo e dell’amministrazione nonché l’intreccio di interessi pubblici e privati”. Numerosi studi hanno infatti osservato una svolta autoritaria nell'ultimo decennio in tutti i Paesi della regione, con monopoli in determinati settori, corruzione dilagante e leggi che favoriscono il clientelismo.