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Il Forum delle Nazioni Libere della Post-Russia disegna una mappa futura della frammentazione della Federazione, mentre il Cremlino proietta i suoi confini a quasi tutta l'Ucraina. Chi avrà ragione alla fine?
di Maurizio Perriello© Telegram
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Da quasi due anni c'è un gruppo di Paesi occidentali e di minoranze etniche russe che si è riunito nel cosiddetto Forum delle Nazioni Libere della Post-Russia, un think tank non ufficiale che vuole disintegrare territorialmente e politicamente la Federazione guidata da Putin. Dalla prima riunione dell'8 maggio 2022, l'assise raccoglie le istanze di tutte quelle stelle della galassia russa ed ex sovietica stanche della "colonizzazione" imposta da Mosca. Compresi gli Stati Baltici e la Polonia, che di dominio russo ne sanno qualcosa, e i sempre presenti Usa in qualità di supervisore "occulto". Dalla frammentazione della Russia, come avvenne per l'Urss, dovranno nascere Repubbliche indipendenti, con tanto di bandiere, dando vita a una nuova mappa del mondo. Propaganda, più che un progetto attuabile, ma che ci informa sulle tensioni esterne e interne alla Russia che ne minano la stabilità sul lungo termine, soprattutto nell'ambito di un conflitto di logoramento come quello ucraino. Dall'altro lato della barricata, Mosca ha ovviamente tutt'altri piani. La sua mappa futura è un ritorno "mediato" al passato, come impone la lunga memoria di ogni impero: ingloba quasi tutta l'Ucraina, lasciando fuori soltanto la porzione storicamente più europea del Paese. E la capitale Kiev.
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Con la guerra in Ucraina, la propaganda si è rivelata ancora una volta l'arma più letale. Non uccide subito, ma insegna a uccidere, prima di tutto la verità. La Russia l'ha utilizzata per rilanciare la propria missione anti-occidentale, condivisa da altri imperi come Cina e Iran, cooperanti di comodo in funzione anti-americana. L'Occidente a guida Usa ha riproposto con forza la propria "responsibility to protect", la "responsabilità di proteggere" i Paesi che si trovano sotto il giogo di autocrazie o democrature, come si suol dire da qualche tempo.
"Il nostro obiettivo principale è creare 41 Stati indipendenti, liberi, sviluppati e di successo invece di un impero pazzo", si legge sul sito del Free Nations of Post-Russia Forum. A firmare questo manifesto anti-Putin sono rappresentanti dell'opposizione russa, membri di movimenti regionali e nazionali, attivisti pubblici ed esperti, tra cui l'ex ministro degli Esteri ucraino, Pavlo Klimkin. Il tutto sotto lo sguardo degli ambienti neoconservatori degli Usa, che hanno ospitato e ospiteranno alcuni incontri del Forum come quello in programma il 16 aprile a Washington per iniziativa del think tank The Jamestown Foundation. Si tratta del decimo appuntamento corale del Forum, dal titolo "La rottura della Russia e la politica occidentale". Nel canale Telegram dedicato si fantastica addirittura che, dopo aver ottenuto la fantomatica indipendenza, molti dei nuovi Stati post-russi che nasceranno potrebbero entrare anche nella Nato. "Proprio come è successo alla Svezia, nonostante due anni di ritardi artificiali dovuti agli agenti del Cremlino, e come accadrà anche all'Ucraina", si legge nel gruppo.
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Risiko velleitario e fantageopolitica del nostro tempo, la nuova postura dei militanti anti-Putin può davvero farci capire come viene percepita la Russia da chi vi confina o da chi ne ha subìto e subisce tuttora l'influenza. Ma quali sono questi Stati indipendenti che dovrebbero nascere dalle ceneri dell'attuale Federazione Russa? Ci sono ad esempio gli Stati Uniti di Siberia, indicati con una bandiera che è un chiarissimo riferimento ai loro "ispiratori" d'America. C'è poi la Federazione del Pacifico, che comprende anche una parte di quelle isole (le Curili) contese da Russia e Giappone dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e che secondo fonti di intelligence Putin avrebbe progettato di invadere nel 2021, salvo poi abbandonarne i piani. La Repubblica dei Komi, antico e fiero popolo che in italiano potremmo conoscere come Sirieni o Ziriani, si dovrebbe invece stagliare a nord-ovest prima delle immense steppe siberiane. A fungere da cesura tra Europa e Asia ci sarebbero Federazione del Volga, Repubblica degli Urali, Udmutria, Erzyan Mastor, Mokshen Mastor (dove "mastor" vuol dire "terra"), Repubblica di Oirat (dalla popolazione mongolica degli Oirati) e Repubblica del Nogai (con capitale la strategica Astrakhan). Nell'elenco compaiono anche tutte quelle cosiddette Repubbliche etniche, periferiche (asiatiche e siberiane), che hanno pagato il maggior prezzo di sangue nella guerra in Ucraina, vedendo i propri giovani arruolati con la forza e mandati al fronte come carne da cannone: Tatarstan, Buriazia, Sakha, Inguscezia, Bashkortostan, Khakassia, Tuva e Altai (entrambe al confine con la Cina), Federazione di Tyumen-Yugra. Fino all'Estremo Oriente russo della Repubblica di Kamchatka e Chukotka e dell'enorme Repubblica mongola-siberiana di Sakha (Dyokuuskai).
Come per la Germania alla fine delle Guerre Mondiali, anche l'attuale Russia europea verrà divisa per impedirne la resurrezione e la minaccia militare. Non in due, ma in decine di pezzi: Carelia (al confine con la Finlandia), Ciuvascia, Repubblica di Novgorod, Repubblica di Pskov, Smalandia (distretto dello storico centro di Smolensk, al confine con la Bielorussia), Repubblica di Tver, Kolandia (Murmansk), Federazione di Zalesie, Mari El o Marelia (attuale Repubblica russa dei Mari). L'exclave russa di Kaliningrad diventerà un'altra Repubblica Baltica, nel sogno di scalzare la minaccia della tenaglia russa sul mare settentrionale che, in questo modo, diventerà a tutti gli effetti un "lago interno" della Nato. La stessa San Pietroburgo, altro artiglio della tenaglia, finirà nell'Ingria, con vessillo recante in maniera significativa la croce scandinava, con colori in libertà.
Nel progetto del Forum anti-russo, l'Ucraina torna ai confini prima del 2014 e conserva così lo sbocco sul Mar Nero e la Crimea. Alla sua frontiera orientale dovrebbe sorgere la Repubblica di Chernozemye-Yugorussia, con il termine slavo "yugo" che indica il sud. Subito sotto ci sarà il territorio del Chossak, con evidente riferimento ai cosacchi che sotto l'Impero Russo si stabilirono nella regione del fiume Don. E proprio l'ormai celebre Donbass, il bacino del Don, rinascerà ipoteticamente nella Repubblica del Don, ereditiera delle entità separatiste annesse dalla Russia di Donetsk e Lugansk. Con annesso Kuban (Krasnodar), attuale territorio russo sulle rive del Mar Nero, situato tra le steppe pontico-caspiche, il delta del Volga e la Ciscaucasia. C'è poi la riorganizzazione dello spazio del Caucaso: Circassia, Inguscezia, Confederazione del Daghestan, Iriston, Ichkeria, Kumykia (dal nome del popolo turcofono dei Cumucchi), Karachay-Balkaria.
Il mondo russo "è più vasto rispetto ai confini nazionali: non comprende solo i grandi russi, i piccoli russi e i bielorussi, ma anche i popoli non slavi che hanno legato il loro destino al popolo russo". Le parole di Aleksander Dugin, il noto politologo russo definito "il Rasputin di Vladimir Putin", rispecchiano in piano ciò che i russi pensano di se stessi. È il Russkij Mir, il "mondo russo" che resiste nelle intenzioni e nei sogni di grandezza dei russi che, al di fuori delle cosmopolite Mosca e San Pietroburgo, poco si crucciano delle forme di governo o della debolezza del rublo. Non per assoggettamento o cieca obbedienza a un Cremlino neozarista, ma per una visione condivisa della storia che si vuole alternativa a quella occidentale. Visione figlia di una esagerata idea di sé, certo, ma anche da una profonda insicurezza per l'assenza di barriere orografiche che nei secoli ne hanno favorito l'invasione. Il nostro economicismo ci fa imporre sanzioni, ma la Russia non vive di economia. Vive di status, ragiona in maniera contro-economica, persegue la potenza. Non verso l'Europa, checché ne dica la pletora Ue che amplifica l'opposta propaganda statunitense. Per Mosca, l'Ucraina è una vertebra fondamentale dello scheletro russo.
È molto importante sottolineare come i piani del Cremlino non siano di occupare interamente il territorio ucraino, quanto di controllarne politicamente la parabola governativa dopo la fine della guerra. Non è infatti un caso che la nuova mappa dello spazio russo-europeo proposta dall'ex presidente Dmitrij Medvedev, inglobi tutti i territori dell'attuale Ucraina lasciando però fuori quella porzione storicamente più asburgica ed europea, compreso l'oblast della capitale Kiev. L'errore più grande che la Russia ha commesso, nelle prime settimane dopo l'invasione del 24 febbraio 2022, è stato quello di confondere la russofonia delle parti d'Ucraina occupate con la russofilia delle stesse. Comunanza di lingua, ma non di sentimento. Per questo da mesi Mosca ha dato vita a un'intensa opera di russificazione, che opera a tappeto dalle pubbliche amministrazioni alla scuola. Più dell'occupazione militare, la presa russa sui territori annessi può essere efficace solo attraverso un'operazione di persuasione socio-economica, secondo il medesimo schema perpetrato nelle cosiddette Repubbliche etniche della Federazione. I principali strumenti di questo piano slavo-ortodosso sono, per l'appunto, la religione e la lingua. Ma i separatismi interni alla Russia si sono acuiti con lo scoppio della guerra convenzionale. E l'Occidente ha tutta l'intenzione di approfittarne.