Fotogallery - La Russia cambia i libri di storia per studenti
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I nuovi manuali per le scuole russe contengono una sezione dedicata interamente all'operazione speciale in Ucraina e una cartina speciale che sposta i confini riconosciuti internazionalmente. Ecco come si pensa e si studia nella fascia di terra occupata da Mosca
di Maurizio Perriello© Telegram
007 non è solo il codice dell'agente segreto più celebre di tutti i tempi. Nel Donbass, 007 è il prefisso russo che ha sostituito quello ucraino. Un'opera di russificazione, di pulizia etnica che passa anche dai libri. C'è un libro che Vladimir Putin cita sempre. Un libro che Dostoevskij definì "la Bibbia di ogni russo" e che invece Lenin mise fuori stampa dopo la Rivoluzione d'Ottobre: "Rossija i Evropa" ("Russia ed Europa") di Nikolaj Jakovlevic Danilevskij. Un libro che parla dello scontro di civiltà tra Occidente e mondo russo, dal messaggio inequivocabile: "L'Europa non ci riconosce come suoi figli. Per l'Europa, la Russia e gli slavi sono un qualcosa di estraneo. La Russia non appartiene all'Europa". Nel 1991, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, questo libro ricompare in Russia e va letteralmente a ruba: le prime 70mila copie date alle stampe vengono vendute nel giro di tre giorni. Per Putin questo libro contiene il senso autentico della guerra mossa contro l'Ucraina, chiamata come al tempo degli zar "piccola Russia" e dunque "sorella minore" della Grande Russia. C'è poi la Russia Bianca, cioè la Bielorussia. Nell'ottica del Crmelino, un messaggio che va inculcato in tutti gli studenti e i giovani della Federazione, che saranno i soldati e i dirigenti di domani. Per questo motivo il pensiero di Danilevskij è alla base dei nuovi manuali scolastici gli studenti di licei e istituti superiori, presentati a Mosca ad agosto. Con una sezione dedicata interamente all'operazione speciale in Ucraina e una cartina speciale, che non si trova in nessun altro Paese del mondo: i confini russi comprendono anche Donbass e Crimea, incluse le città di Mariupol e Melitopol.
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Il lavoro sul manuale - intitolato "Storia russa, 1945 - inizio del XXI secolo" - è stato svolto sotto la guida di Vladimir Medinsky, capo mediatore e teorico del nazionalismo russo che nel 2014 ricevette dall'Università Ca' Foscari di Venezia il titolo di professore ad honorem. Le prime immagini dei testi sono state diffuse anche da Ria Novosti. Il ministro dell'Istruzione, Sergei Kravtsov, ha precisato che i nuovi libri di storia per le classi dalla quinta alla nona classe (ultimo anno di scuole medie), con le sezioni opportunamente aggiornate sulla guerra in Ucraina, saranno pronti l'anno prossimo. Un altro segnale della volontà o della convinzione del Cremlino di voler chiudere il conflitto entro il 2024, magari prima delle elezioni presidenziali del 17 marzo? Staremo a vedere.
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Varie segnalazioni, specie su gruppi Telegram, evidenziano però come i nuovi libri siano stati adottati nelle scuole secondarie russe già da settembre. I primi a studiarne le pagine sono gli adolescenti tra i 17 e i 18 anni che frequentano l'undicesimo anno di scuola, l'ultimo secondo l'ordinamento scolastico russo. Al di fuori delle aule scolastiche, giovani e giovanissimi russi sono sempre e comunque impregnati della dottrina nazionalista russa. A casa, nei bar, nei luoghi di ritrovo, nelle sedi sportive sentono parlare di "Russkiy Mir" ("mondo russo", l'ideologia alla base del cosiddetto putinismo) e di storia, al di là della volontà del Cremlino di controllare il modo in cui la guerra stessa è presentata ai propri cittadini dai canali ufficiali e dai media. E non solo ai propri cittadini. Tutti gli ucraini hanno accesso ai canali televisivi russi e moltissimi li guardano. Per non parlare delle scuole: attualmente oltre 500 gli istituti ucraini sotto controllo russo.
C'è sempre una parte di retorica nazionalista che falsifica la storia. Noi italiani dovremmo saperlo bene, visto che l'impostazione ottocentesca di molti manuali utilizzati ancora oggi celebra - ad esempio - la Battaglia di Legnano del 1176 come una tappa dell'Unità d'Italia. Nei nuovi libri di testo per la scuola russa, la guerra in Ucraina viene descritta come "giusta e necessaria per evitare la fine della Russia". Per porre fine alla guerra e non per scatenarla. L'Occidente viene dunque dipinto come il vero responsabile di questa frattura interna al mondo russo, di cui Kiev è culla culturale e parte integrante secondo l'ideale nazionalista e imperiale. La retorica è la stessa della propaganda alla quale ci hanno abituato Putin e sodali, da Lavrov a Peskov passando per Medvedev: Stati Uniti ed Europa hanno usato l'Ucraina per "destabilizzare e distruggere la Russia". Il tutto Per evitare la fine stessa del popolo russo come lo si conosce, il presidente Putin avrebbe quindi dato il via all'operazione militare speciale, dopo otto anni di combattimenti nel Donbass culminati con l'invasione del 22 febbraio 2022. Ricorrono poi le mistificazioni già urlate da Putin e sodali come la "rinascita del nazismo" in Ucraina, riprendendo l'accusa al nazionalista ucraino Bandera di sostegno all'avanza nazista nell'URSS.
I russi cominciano la scuola "vera" a 7 anni d'età. Il primissimo giorno è letteralmente una festa per genitori, insegnanti e figli: mazzi di fiori, vestiti eleganti, acconciature da grande evento. È il день знаний (pronuncia: "Den' znaniy"), il "Giorno del Sapere", che cade sempre il 1° settembre. I primi nove anni di scuola, quattro di elementari più cinque di medie, sono obbligatori. Si studiano lingua e letteratura russa, matematica, principi di informatica, lingua inglese o straniera (si possono scegliere anche il cinese, il giapponese o anche l'italiano), scienza e arte. Come da noi, esistono istituti pubblici e istituti privati, ma all'interno dei primi è possibile iscrivere l'alunno a corsi extra anche a pagamento. La competitività e la disciplina sono molto alte. Dopo il nono anno, lo studente può scegliere se proseguire la scuola in diversi modi: iscriversi al Grado Superiore della stessa scuola, che dura altri due anni; iscriversi a un liceo o un istituto professionale, che dura tre anni; iscriversi al College (una scuola a indirizzo tecnico), che dura quattro anni. Il livello successivo è l'Università.
Dal punto di vista della propaganda "esterna", rivolta agli altri Stati, Mosca non appare invece altrettanto pronta e convinta a dare per certa la "russificazione" delle regioni ucraine annesse tramite referendum. Un caso eclatante è fornito dalle nuove banconote da 100 rubli emesse di recente dalla Banca Centrale della Federazione. Ebbene, sulla mappa della Russia stampata i confini sono ancora quelli ufficiali per il resto del mondo, senza le regioni ucraine del Donbass. L'Istituto ha fornito una spiegazione ufficiale, affermando che le banconote sono state disegnate e stampate "prima della riunificazione" di queste regioni con la Russia. Le spiegazioni ufficiosi sono invece altre: le autorità russe che occupano gli oblast di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia stanno cercando di "preparare" la popolazione alla resa di queste regioni, tentando l'impresa fallita all'inizio dell'invasione: far sposare la causa del Cremlino agli ucraini russofoni. Il messaggio è anche all'Occidente a guida Usa: Mosca vuole mostrarsi come garante di negoziati pacifici, facendo intendere di essere pronta a cedere queste regioni per concordare la pace.
Per comprendere un po' di più cosa pensa un russo medio, e dunque non solo un russo cosmopolita di Mosca o San Pietroburgo, quando sente parlare di "Ucraina", è utile qualche elemento in più. Nella retorica e nella propaganda russa, l'Ucraina indipendente è stata costruita in secoli e secoli di "regali" (подарок, letteralmente) da parte di zar e grandi uomini di potere. Nel 1654 furono i Romanov a "svendere" i territori centro-settentrionali, da Žytomyr a Poltava (centro di una battaglia decisiva per la storia russa ed europea) passando per Kiev, la culla della civiltà Rus'. Poi un salto di oltre 200 anni. Nel 1917 la Rivoluzione regala altri due territori: Kirovohrad e Dnipropetrovs'k. Nel 1922 tocca a Lenin entrare nel novero dei benefattori, invisi ai nazionalisti moscoviti odierni, e nella lista nera di Putin. La zona ceduta all'Ucraina (all'epoca ancora non indipendente) corrisponde al teatro della guerra dei nostri giorni, con nomi che ormai sono diventati più che familiari: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kharkiv, Kherson, Mykolaiv e la fascia costiera del Mar Nero fino a Odessa. Secondo il Cremlino e il popolo profondo, si tratta della madre di tutti i "folli doni" russi che la Federazione ha declinato in "furti". Nel 1945 è Stalin a dare il "colpo di grazia", concedendo alla Repubblica Socialista d'Ucraina la parte più occidentale (e meno russofila) del Paese: la Galizia, dalla Transcarpazia all'europeggiante Leopoli, fino a Volinia. Completa il quadro Nikita Chruščëv (o Krusciov), che nel 1954 regala la Crimea (che la Russia di Putin, con bizzoso feticismo storicistico, riannette unilateralmente esattamente 60 anni dopo). Se tutti questi personaggi hanno la colpa di aver indebolito la Russia in favore dell'Ucraina, Michail Gorbačëv (o Gorbaciov) ha fatto peggio. Per la propaganda nazionalista, e dunque putiniana, ha affondato il benefattore.
I russi etnici che abitano nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, annesse alla Federazione come la Crimea, non ripetono altro: il mondo non sa cos'è il Donbass. Una mera entità geografica per tanti, soltanto un nome per molti. Frutto della crasi dell'unico grande fiume che la attraversa, Donec (chiamato anche Северский Донец, Severskij Donec), e bassejn ("bacino"). Un fazzoletto dai confini mobili tra Russia e Ucraina popolato da circa quattro milioni di persone, sospesi tra la civiltà e quelli che i russi chiamano Дикое Поле (dikoe pole), cioè i "campi selvaggi" delle steppe che si aprono verso Volgograd (ex Stalingrado). L'occupazione russa si sviluppa anche nei territori ucraini verso il Mar Nero, includendo la martoriata Mariupol. A Donetsk, Lugansk e Mariupol sono ormai rimasti solo cittadini russi o filorussi, per via della pulizia etnica e culturale portata avanti da Mosca. Una popolazione che non riconosce alcuna sovranità di Kiev e che si oppone fermamente a ogni negoziato che preveda una pur grande autonomia sotto il cappello ucraino. Il Donbass e la Crimea, con tutto ciò che si trova nel mezzo, è Russia almeno dai tempi di Caterina la Grande.
Come in ogni federazione, però, non è che esista soltanto il buon vicinato: il Lugansk, ad esempio, soffre la prossimità di un Donetsk molto più influente e popolosa (le capitali distano appena 150 chilometri), in un periodo storico di grave scarsità di lavoro e di prezzi altissimi. Ma l'appartenenza comune alla Russia appiana in qualche modo l'incertezza nel futuro. Chi rimane, la stragrande maggioranza delle famiglie, si dice contenta di essere "tornata nella Federazione Russa" e che a maggior ragione non intende andarsene. Anche se il fronte è vicino alle principali arterie stradali e gli spostamenti richiedono deviazioni e tempo. Da quando furono indotti spostamenti di massa per popolare la regione e lavorare nell'estrazione e nell'industria del carbone, gli abitanti della regione si sono sentiti "ergastolani al confino". "Ora non ci sentiamo più così, siamo russi", affermano in tanti. Anche gli ucraini etnici si sono "russificati", come le targhe delle auto. Chi ha ancora una targa ucraina copre di nero la dicitura "Ua". Tutto rimanda al primato di Mosca. Qui la fedeltà alla causa russa è stata forgiata a colpi di asfalto, infrastrutture e richiami alla storia. Perché gli imperi hanno una memoria lunghissima.