Per il rapimento della 23enne, avvenuto il 20 novembre a Chakama, tre persone sono in carcere. Ma si tratta degli esecutori materiali: dei mandanti non si hanno notizie
Silvia Romano è scomparsa per aver denunciato molestie e casi di pedofilia in Kenya? E' questa l'ipotesi emersa da un'inchiesta del "Fatto quotidiano" che denuncia gravi carenze nelle indagini sulla cooperante italiana rapita 7 mesi fa. Sarebbe stata anche la polizia di Nairobi a formulare tre ipotesi in merito: sequestro per ottenere un riscatto; per tapparle la bocca su casi di pedofilia a Likoni; per mettere a tacere un caso di molestie a Chakama.
Sono tanti i punti che non tornano sulla scomparsa della 23enne, avvenuta il 20 novembre in Kenya. Il primo che salta all'occhio è la modalità con cui sono state svolte le indagini. Come riscontrato dal quotidiano romano, Silvia, recatasi nel Paese africano in più occasioni, aveva soggiornato più volte alla guest-house Marigold, nel centro di Mombasa. Una prima volta il 22 settembre e poi la notte tra il 5 e il 6 novembre, come risulta dai registri. Ma in quell'albergo gli investigatori non hanno mai messo piede. "Quando abbiamo saputo del rapimento della ragazza - ha raccontato il figlio della proprietaria della struttura - pensavamo di ricevere la visita di qualche investigatore, ci siamo meravigliati, non è comparso nessuno".
Ma per il rapimento di Silvia la polizia keniota ha arrestato e messo in carcere tre persone. Si tratta di un keniota giriama (l'etnia che abita sulla costa del Paese), un keniota di etnia orma (quella accusata di aver pianifico il sequestro) e un somalo con un documento keniota falso. Questi sarebbero però solo gli esecutori materiali del rapimento. Nulla è emerso invece sui mandanti. Il dato ancora più inquietante, denunciato dalla polizia locale, è poi la mancanza di collaborazione da parte delle autorità somale e italiane.
Dall'inchiesta del Fatto Quotidiano è emerso poi un altro tassello che potrebbe essere importante per capire il motivo per cui Silvia Romano è stata rapita. Si tratta della figura di un 31enne di Seregno, Davide Ciarrapica, che la 23enne aveva conosciuto a una festa di beneficienza poco dopo essere arrivata per la prima volta in Kenya, il 22 luglio. Ciarrapica è il gestore di un centro per bambini a Likoni, un villaggio non distante da Mombasa.
Silvia aveva pensato di poter essere utile alla comunità e per questo aveva seguito il 31enne che aveva poi raccontato che proprio durante quel viaggio in aereo la ragazza gli era saltata addosso. La volontaria era rimasta nel centro per circa un mese, per poi fare ritorno in Italia, ma solo per pochi mesi. Il 5 novembre era ritornata nel Paese africano, dove era stata accolta in aeroporto proprio da Ciarrapica, con cui aveva trascorso solo un giorno, per poi andare a Chakama, da cui è sparita, con due volontari della Africa Milele, la onlus con cui poi ha lavorato.
La chiave del rapimento potrebbe essere ciò che accadeva nel centro gestito dal 31enne di Seregno, condannato in Italia a 6 anni di reclusione per aver staccato a morsi un orecchio durante una rissa in discoteca a Milano. Nessuno ha parlato espressamente di pedofilia, ma di "cose poco corrette e imbarazzanti" e di "atteggiamenti strani di Davide e il suo socio", figlio di famoso politico locale. Dunque Silvia poteva aver visto qualcosa e denuciato.
C'è poi un'altra questione che non torna. Dai file dell'aeroporto di Mombasa Silvia Romano non risulta, non ci sono foto e impronte digitali registrate, così come avviene per ogni persona che entra nel Paese. A sette mesi dalla scomparsa della 23enne quindi, non solo non si hanno sue notizie, ma sembrerebbe anche che le indagini siano a un punto morto.