Il ruolo della chiesa

Castro, il comunista amico dei papi

A Cuba il lider maximo incontrò San Giovanni Paolo II, Benedetto XV e Bergoglio. Cruciale il ruolo della diplomazia vaticana nello sciogliere il nodo dei rapporti tra l'Isola e gli Usa

26 Nov 2016 - 14:59

Per una volta smise la divisa militare da rivoluzionario per indossare giacca e cravatta. Fidel Castro accolse così, in una nuova veste, l'allora papa Giovanni Paolo II all'arrivo a L'Avana, in aeroporto, quel 21 gennaio 1998. Gli doveva rispetto. I due, il leader comunista e il fautore della caduta del comunismo in Europa, salutandosi, guardarono l'orologio, a sottolineare un'ora storica. A preparare l'incontro era stata la diplomazia del portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls, inviato in precedenza a tessere la tela per l'apertura di Cuba al mondo e alla Chiesa Cattolica. Nel marzo del 2012, poi, nell'Isola arrivò anche Benedetto XV e, infine, la visita che sancì la fine delle tensioni tra Cuba e gli Usa: dal 19 al 22 settembre 2015, papa Francesco a L'Avana che, dopo un'ora d'incontro privato con Fidel, lo salutò così: "Ehi, prima o poi, regalamelo un Padre Nostro".

L'abbraccio con Wojtyla Segnò la storia non solo dell'America e della Chiesa cattolica, ma del mondo intero, la visita di papa Giovanni Paolo II a Cuba, dal 21 gennaio al 26 gennaio 1998. "Ai nostri giorni – dichiarò Wojtyla nella Messa davanti a un milione di fedeli - nessuna nazione può vivere sola. Per questo, il popolo cubano non può vedersi privato dei vincoli con gli altri popoli, che sono necessari per lo sviluppo sociale e culturale, sopratutto quando l’isolamento forzato si ripercuote in modo indiscriminato sulla popolazione, accrescendo le difficoltà dei più deboli, in aspetti fondamentali come l’alimentazione, la sanità e l’educazione". E pensando al futuro dell'Isola aggiunse: "Costruitelo con gioia, guidati dalla luce della fede, con il vigore della speranza e la generosità dell'amore fraterno, capaci di creare un ambiente di maggiore libertà e pluralismo".

Il "cammino comune" con Benedetto XV Il secondo viaggio pontificio si tenne dal 26 al 28 marzo 2012. L'allora papa Benedetto XV ribadì l'auspicio di un "cammino comune" per tutti i cubani: "L'ora presente - disse Ratzinger - reclama in modo urgente che, nella convivenza umana, nazionale e internazionale, si eliminino posizioni inamovibili ed i punti di vista unilaterali che tendono a rendere più ardua l'intesa ed inefficace lo sforzo di collaborazione". Fidel in quel periodo aveva lasciato già il potere nelle mani del fratello Raul, ma indimenticabile è il siparietto che ci fu tra lui e Benedetto. "Cosa fa un Papa?", gli chiese El Comandante. "E' al servizio della Chiesa universale", la risposta. E Fidel colse l'occasione per ringraziare il pontefice tedesco di due beatificazioni: quella di Madre Teresa, benefattrice di Cuba, e quella di Giovanni Paolo II.

Bergoglio: "Regalamelo un Padre Nostro" Lo spagnolo come lingua materna e il fatto di essere nati in America Latina non sono stati gli unici punti in comune tra il Papa argentino da una parte e Fidel e Raul Castro dall'altra nel viaggio apostolico a Cuba dal 22 al 28 settembre: Jorge Bergoglio è un gesuita e il lider maximo e il fratello presidente avevano entrambi avuto da ragazzi un'educazione gesuita. Fu un incontro particolarmente cordiale tra Fidel, che a quasi novant'anni non si riteneva un credente, e Francesco: quest'ultimo gli portò diversi libri, tra i quali quello corredato da cd con le omelie di padre Armando Llorente, il gesuita morto in esilio a Miami che Castro aveva avuto come insegnante nel Collegio di Belen. Era la vigilia della fine ufficiale delle tensioni tra Cuba e gli Stati Uniti, sancita, poi, il 21 marzo 2016 dalla visita di Obama a L'Avana. E quel saluto finale di Francesco, dopo un'ora di colloquio privato: "Ehi, prima o poi, regalamelo un Padre Nostro".

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