La triste realtà è emersa dall'ultimo rapporto dell'ong americana Center for Civilians in Conflict
"I peacekeeper sono stati incapaci o non disposti a lasciare le loro basi per proteggere i civili fuori": questo è quanto emerge dal report dell'ong americana Center for Civilians in Conflict, riferendosi all'operato dei caschi blu durante gli scontri esplosi a luglio tra governativi e ribelli a Giuba, capitale del Sud Sudan. Secondo l'indagine delI'ong "i peacekeeper si sono chiusi nei propri uffici o sono scappati invece di uscire a proteggere i civili".
Il rapporto del Center for Civilians in Conflict è basato sulle testimonianze di civili, funzionari della missione ONU e volontari. Secondo quanto emerge, i peacekeeper in quei giorni non si sono visti. Alcuni hanno perfino abbandonato i PoC (Campi di Protezione dei Civili), luoghi creati appositamente all'interno delle basi Onu, dove i sudsudanesi si sono rifugiati dall'inizio della guerra civile, nel 2013. In realtà, il Paese è in conflitto da tempo, considerato che ci sono voluti oltre trent'anni per ottenere l'indipendenza, raggiunta nel 2011. A luglio la lotta tra il presidente Kiir, di etnia dinka, e il suo ex vice Machar, del gruppo nuer ha causato circa 50.000 morti.
Sempre dal rapporto emerge che, dopo che alcuni caschi blu sono scappati abbandonando gli uffici, 5 mila sfollati hanno cercato rifugio lì, attraversando il filo spinato. In quel caso, riporta l'ong, i peacekeeper hanno risposto sparando gas lacrimogeni.
In Sud Sudan la missione non era proprio ben vista dal governo. Nonostante ciò, questi dati rappresentano un altro duro colpo per i caschi blu: già a giugno un rapporto dell'Onu aveva messo in luce le loro negligenze a Malakal, sempre nel Sud Sudan: secondo le Nazioni Unite i peacekeeper non erano riusciti ad impedire il massacro nel campo profughi dello scorso febbraio perchè non sapevano come comportarsi di fronte ad un attacco.