Gli invitati all'insediamento di Donald Trump
© Withub
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Tra realismo politico e imprevedibilità temuta dagli avversari, il presidente americano propone una politica machiavellica in salsa ranch
di Maurizio Perriello© Afp
Già otto anni fa, all'epoca della sua prima esperienza da presidente, Donald Trump era stato accostato a Niccolò Machiavelli. Quante se ne scrivono, direte voi. Eppure dalla lezione politica del grande italiano del Rinascimento i media di tutto il mondo, americani in primis, avevano dedotto un'espressione per descrivere l'ormai celebre imprevedibilità del tycoon. È la "Madman Theory", la "teoria del pazzo" o "teoria del folle", secondo cui un leader agisce con un'irrazionalità tale da disorientare gli avversari. Che induca insomma a far pensare: "Facciamo attenzione, non sappiamo di cosa è capace di fare o come può reagire". Parliamo ovviamente di una follia simulata e calcolata, non certo letterale. In questo modo il leader induce gli altri (alleati compresi) a pensare che sia capace di compiere qualsiasi azione, anche la più pericolosa e la più lontana dalla ragione comune. L'obiettivo è ottenere in questo modo vantaggi negoziali, bloccare le mosse dei nemici o semplicemente distrarre tutti mentre si elaborano altre tattiche. Si tratta tuttavia di un'arma a doppio taglio: può spaventare i nemici, ma anche dividere il fronte interno.
A ben vedere, nel suo pluricitato "Il Principe", Machiavelli non ha mai scritto le parole "pazzo" o "folle", figurarsi se ne ha sviluppato addirittura una teoria. Ma allora, di cosa stiamo parlando? La cosiddetta "teoria del pazzo" è americana fino al midollo, e la prima volta che se ne è parlato compiutamente è stato ai tempi della presidenza di Richard Nixon. Alcuni lo definiscono addirittura l'ideatore del concetto. La disponibilità di armi nucleari divenne uno spettro agitato da "Tricky Dick" per spaventare i nemici, Unione Sovietica e Vietnam del Nord all'epoca (1969-1974), suggerendo che il presidente avrebbe potuto decidere di sganciarne qualcuna contro qualunque nemico e in qualsiasi momento. Nixon lo fece sul serio: nel 1969 ordinò ai suoi bombardieri armati di armi nucleari di volare vicino ai confini sovietici. Un grande bluff, certo, al quale Urss e resistenza vietnamita non cedettero.
Quello proposto da Trump nella corsa al suo secondo mandato alla Casa Bianca è un Machiavelli in salsa ranch, il condimento preferito dagli americani in assoluto. Il realismo politico del neo presidente è decisamente machiavellico. Come postulato ne "Il Principe", per avere successo un leader deve essere sì temuto e rispettato, ma soprattutto deve essere capace di riconoscere e manipolare le percezioni degli altri, degli alleati, dei nemici, del popolo. E Trump in questo, lo abbiamo visto, si è dimostrato un campione. Non solo sul versante interno, ma soprattutto nella politica estera. Nella guerra commerciale con la Cina, ad esempio, mostrando di non curarsi dei pesantissimi effetti a cascata che avrebbero travolto anche i Paesi europei. Nel lanciare il grido di conquista di territori sovrani come Groenlandia, Panama e Canada. Nel giurare ferro e fuoco alla Corea del Nord, dopo essere stato il primo presidente americano a mettere piede nello “Stato canaglia” asiatico, nel 2019. Fino alle posizioni non chiarissime sulle guerre in Ucraina e Medioriente. Tra un incontro con Zelensky alternato alle consuete frecciate, come quella volta in cui l'ha definito un "grande venditore" in senso dispregiativo. Tutto e il contrario di tutto, con ragionato calcolo.
Per Trump, l'America deve tornare "grande". Retorica semivuota, d'accordo, ma significativa per milioni di cittadini che hanno bisogno di tirare un po' il fiato di fronte a tutti questi nemici esterni. L'interesse nazionale è il fine. I mezzi utilizzati troveranno giustificazione, in primis la propaganda e i dazi commerciali, come insegna Machiavelli. Gli Usa hanno scoperto che la maggior parte del mondo non vuole "americanizzarsi", e ne sono rimasti scottati. Trump incarna questa disillusione, e vuole trasformare l'impero americano in potenza temuta e non osannata per l'esportazione di democrazia e diritti civili. Nei piani del tycoon, ogni mezzo che sia utile a mantenere il potere è lecito.
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In un'altra opera, "I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio", Machiavelli ci offre altre occasioni di confronto con la politica di Donald Trump. Pur favorendo la repubblica come forma di governo rispetto ai principati, il pensatore fiorentino giudicava l'azione politica solo nella misura in cui poteva accrescere il potere della repubblica. Machiavelli consigliava di agire solo per ottenere ciò che era nell'interesse della comunità politica, che oggi chiamiamo nazione, indipendentemente dalla moralità e dal modo in cui si agiva. Il filosofo Leo Strauss chiamava questa forma di patriottismo repubblicano "egoismo collettivo". L'obiettivo del motto trumpiano "America First" è quello di ottenere in ogni occasione il "miglior accordo" per gli Stati Uniti, indipendentemente dall’aspetto morale, dal danno che si può cagionare ad altri soggetti o dall’immagine che si può offrire. Nella visione del tycoon gli Usa, liberi dall'imperativo morale di difendere il mondo libero, possono disimpegnarsi dai fronti caldi come Ucraina, Medioriente e Taiwan per concentrarsi sui bisogni interni. Ma non si può sfuggire alla storia e alla strategia nazionale. Specialmente se sei la prima potenza del pianeta.