A far emergere con forza le crepe nel rapporto tra il presidente Usa e il patron di Tesla sono stati i dazi imposti dall'amministrazione Usa
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La luna di miele tra Donald Trump ed Elon Musk sembra giunta al termine. A far emergere con forza le crepe nel rapporto tra il presidente Usa e il patron di Tesla sono stati infatti i dazi imposti dall'amministrazione Usa. Nonostante i dazi rappresentino un punto centrale dell'agenda trumpiana, Musk ha cercato di sfruttare il suo ruolo privilegiato di first buddy per lanciare un appello personale e diretto al tycoon ed impedire l'entrata in vigore delle imposte doganali. Il suo sforzo è, almeno inizialmente, caduto nel vuoto, mettendo in evidenza una prima sfilacciatura del rapporto. Una sfilacciatura che non sembra possibile ricucire neanche dopo la sospensione per 90 giorni dei dazi, viste le ulteriori imposte doganali messe in campo contro la Cina, partner commerciale basilare per le aziende di Musk.
Dall'entrata in vigore dei dazi, Musk, nonostante il fallimento del primo tentativo di fermare Trump, non ha perso occasione di esprimere pubblicamente il suo dissenso. A partire dal suo intervento al congresso della Lega quando, in collegamento con Firenze, ha sottolineato di sperare "che Usa ed Europa riescano a realizzare una partnership molto stretta: c’è già un’alleanza ma spero sia più stretta e forte. E riguardo ai dazi ci sposteremo in una situazione di zero dazi nel futuro, verso una zona di libero scambio".
Ma le sue bordate non si sono certo fermate qui. In puro "stile Musk", il patron di Tesla ha poi puntato il dito contro colui che ritiene il principale artefice della politica sui dazi della Casa Bianca: Peter Navarro, definito un "cretino" e "più stupido di un sacco di mattoni", e arrivando persino a coniare per lui il sarcastico soprannome di "Peter Retarrdo".
A sostenere la battaglia di Elon Musk contro i dazi si è schierato poi anche suo fratello Kimball, che siede nel board di Tesla. Attraverso un post sul social media X, Kimball Musk, prima dell'annuncio della sospensione per 90 giorni dei dazi, aveva infatti espresso con chiarezza la sua opposizione alle imposte doganali, descrivendole come "una tassa permanente sui consumatori americani" e "la più alta tassa introdotta da un presidente in America da molte generazioni a questa parte".
Ma se i dazi sono stati la scintilla, le prime incrinature al sodalizio Trump-Musk si erano viste con la tornata elettorale per la Corte Suprema del Wisconsin. La sconfitta del candidato repubblicano, fortemente sostenuto dal patron di Tesla, aveva infatti "aizzato" contro Musk l'entourage di Trump che non ha mai fatto mistero di non apprezzare la presenza del miliardario.
Quando un rapporto scricchiola ci sono sempre due versioni. Per Trump forse Musk non farebbe più guadagnare voti, ma al contrario, li farebbe perdere. Da parte sua il miliardario sembrerebbe cominciare a pensare che il vulcanico presidente, che ha promesso una nuova età dell'oro, sia invece sulla strada per una recessione dell'economia Usa.