Nell'inchiesta sulle attività di lobbying della multinazionale viene citato l'ex presidente del Consiglio: secondo l'Espresso, l'azienda avrebbe tentato di condizionarlo per espandersi nel mercato dei taxi. Ma il leader di Iv spiega di non aver "mai seguito personalmente" la questione trasporti
C'è anche un risvolto italiano nell'inchiesta giornalistica Uber-files, che fa luce sulle attività di lobbying dell'azienda di trasporti. Secondo quanto scrive l'Espresso, il colosso americano avrebbe organizzato dal 2014 al 2016 una "campagna di pressione", ribattezzata con il nome in codice "Italy - Operation Renzi", per agganciare e condizionare l'allora presidente del Consiglio, nonché alcuni ministri e parlamentari del Partito Democratico.
La replica di Renzi - Secondo l'Espresso, Uber avrebbe utilizzato i propri lobbisti e personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, per avvicinare l'allora capo del governo italiano, con l'obiettivo di espandersi per diventare un'azienda leader nel settore dei trasporti. Ma, come spiega la stessa testata, il governo Renzi non ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso americano.
Il leader di Italia Viva, contattato dal settimanale, ha spiegato di non aver "mai seguito personalmente" la questione dei taxi e dei trasporti, che veniva gestita "a livello ministeriale" e "non dal primo ministro". Renzi conferma inoltre di aver incontrato più volte l'ambasciatore Phillips, ma non ricorda di aver mai parlato di Uber con lui o con altri lobbisti americani.
Spunta il nome di Macron - Il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe svolto un'attività lobbistica nel periodo in cui era ministro dell'Economia, tra il 2014 e il 2016, per favorire il gruppo Uber nel Paese. Lo riportano i quotidiani Le Monde e Guardian, insieme alla Bbc e ad altre testate giornalistiche del Consorzio internazionale dei giornalisti di investigazione (Icj), che hanno analizzato migliaia di documenti e mail riservate nell'inchiesta ribattezzata Uber-files. I giornalisti e hanno potuto visionare 124mila documenti riservati risalenti al periodo in cui al vertice dell'azienda americana c'era Travis Kalanick. Secondo la loro ricostruzione, Uber faceva pressioni sui leader politici per diventare un'azienda leader del settore di trasporti, sconvolgendo il settore dei taxi.
Le accuse - "Una maxi-raccolta di file riservati ha rivelato come il gigante della tecnologia Uber abbia violato le leggi, ingannato la polizia, sfruttato la violenza contro i conducenti di taxi e fatto pressioni segrete sui governi durante la sua aggressiva espansione globale", spiega il consorzio di media internazionali.
La gestione Kalanick - Stando a quanto pubblicato dai giornali, Kalanick poteva contare su sostegni di grande livello, come Macron quando era ministro dell'Economia e l'ex commissaria europea per il digitale Neelie Kroes. Gli oltre 124mila documenti interni ottenuti dal Guardian coprono un periodo di cinque anni, in cui Uber era gestita da Kalanick, costretto poi a dimettersi nel 2017 dagli azionisti proprio per le sue azioni. Nell'opera di lobbying, la compagnia avrebbe cercato di ottenere il sostegno, "corteggiando con discrezione", primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e tycoon dei media. In particolare Macron avrebbe fornito un "aiuto spettacolare", secondo quando emerge dai documenti.
La vicenda Macron - Il Guardian ricorda che Parigi, nel 2014, fu teatro del primo lancio europeo di Uber, che incontrò una dura resistenza da parte dell'industria dei taxi, culminata in violente proteste nelle strade. Secondo i giornalisti, nei documenti analizzati ci sono messaggi tra Kalanick e Macron, che avrebbe consentito a Uber un accesso frequente e diretto a lui e al suo staff. Stando al Guardian, nonostante i tribunali e il parlamento avessero vietato Uber, Macron accettò di lavorare con l'azienda per riformare le leggi del settore. E firmò un decreto che allentava i requisiti per la licenza dei conducenti del servizio di trasporto privato. I file rivelano anche come Kroes fosse in trattative per unirsi a Uber prima della fine del suo mandato a novembre 2014, e poi segretamente fece pressioni per l'azienda in potenziale violazione delle norme etiche europee.
La rivelazione su Biden - C'è anche un risvolto che riguarda Joe Biden, quando era vicepresidente degli Stati Uniti. Quando arrivò in ritardo a un incontro con l'azienda al World Economic Forum di Davos, Kalanick mandò un messaggio a un collega: "Ho fatto sapere ai miei che ogni minuto in ritardo è un minuto in meno che avrà con me". E dopo aver incontrato Kalanick, Biden avrebbe modificato il suo discorso preparato a Davos lodando l'azienda.
La versione dell'azienda - Uber, commentando l'intera vicenda, ha ammesso che sono stati commessi "errori e passi falsi", ma ha chiarito che l'azienda si è trasformata dal 2017, dopo l'uscita di scena di Kalanick, con il suo attuale amministratore delegato Dara Khosrowshahi. "Non creeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali", ha affermato. "Chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire", ha aggiunto.
Ue chiederà chiarimenti a Kroes - In seguito allo scoop sugli Uber-files, la Commissione europea "invierà una lettera di chiarimento" a Neelie Kroes. "Stiamo raccogliendo informazioni, non siamo il tipo di organizzazione che arriva alle conclusioni senza prove". Lo ha detto un portavoce della Commissione Ue.