LE MANI DI PUTIN SU DONETSK E LUGANSK

Ucraina e repubbliche separatiste, perché il Donbass è così importante

Cuscinetto strategico, centro industriale ed economico, enclave filorussa: le regioni ribelli dichiaratesi indipendenti nel 2014 sono tornate all'Ucraina con gli Accordi di Minsk, in cambio di maggiore autonomia. Ma i patti, come i cessate il fuoco, non sono mai stati rispettati

23 Feb 2022 - 13:17
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Il Donbass è finito in prima pagina, ma non per la prima volta. E sicuramente neanche per l'ultima, data la sua cruciale importanza per le dinamiche interne all'ex blocco sovietico e, giunti al punto in cui si è giunti, anche per gli equilibri mondiali. La geografia è importante, ci dicevano a scuola, e sul Donbass questa verità è particolarmente evidente. Incastonata tra Ucraina, Russia e Mar d'Azov (praticamente il Mar Nero), la regione delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk rappresenta un cuscinetto strategico, il piedistallo su cui poggia il progetto di Putin di una Russia unita in opposizione alla progressiva espansione occidentale verso Est. Un'area a predominanza russa, dalla lingua alla Chiesa e alla moneta, riconosciuta ufficialmente da Mosca e lontana 700 chilometri nello spazio e nel sentimento da Kiev. Il Donbass è però anche una ricca zona carbonifera - il che non guasta mai - grazie al bacino minerario del Don, il grande fiume che divide la Russia dall'Ucraina. Ed è anche il pomo della discordia lanciato sul tavolo di un conflitto mai davvero cessato dal 2014, dai tempi della rivolta filo-europea di piazza Maidan e che ha fatto esplodere il separatismo che oggi spaventa il mondo.

Il Donbass, la regione ucraina contesa

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Zona di confine di una nazione di confine ("Ucraina" vuol dire proprio questo: "terra di confine"), il Donbass è al centro di un braccio di ferro internazionale che ha ormai teso i muscoli di mezzo mondo fino allo strappo. Strappo che ha cominciato a fare male sul serio dal 2014, ma che ha radici più profonde. Di fatto nel Donbass non esisteva un movimento che chiedesse l'annessione alla Russia, ma le difficoltà economiche, sempre più gravi dal 1991 in poi, hanno spinto molti a guardare con sempre maggiore ottimismo a un controllo da parte di Mosca. Con il Cremlino che, al di qua del camino, non ha mancato di soffiare sulla brace rovente del sovietismo.

Ucraina, strappo separatista: Putin firma il riconoscimento dell'indipendenza del Donbass

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Su oltre cinque milioni di abitanti (ucraini), 770mila hanno passaporto russo: praticamente uno per famiglia. La popolazione è quasi totalmente russofona e russofila, usa il rublo e ospita una Chiesa ortodossa fedele alla Russia e separata da quella ucraina. Anche se sulla carta le due regioni di Donetsk e Lugansk sono gestite da leader ucraini, la Russia esercita da tempo un forte controllo su di esse. Chi vive nelle due repubbliche autoproclamate è invitato a richiedere la cittadinanza russa e ad abbandonare quella ucraina e può votare alle elezioni russe.

La strategia di Putin, culminata con il riconoscimento dell'indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, è però passata dal piano politico-economico a quello militare, con la mobilitazione di truppe nel territorio. Quest'ultima ha sulla carta lo scopo di "assicurare la pace", ma di fatto infrange il tabù della violazione della sovranità nazionale e lancia una sfida chiara a un Occidente idealmente guidato da Stati Uniti ed Europa. Un Occidente che intende rispondere con armi economiche, dalle sanzioni al blocco del gasdotto NordStream 2.

Ucraina, Russia e Nato: le forze in campo

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Perché si combatte nel Donbass: la rivolta di Kiev e le repubbliche separatiste - L'instabilità del Donbass affonda le radici nella nostalgia dell'Unione Sovietica scatenatasi (dietro grande spinta della Russia) proprio nel 2014, con la cacciata del filo-russo Viktor Yanukovich dal governo ucraino e l'insediamento di una democrazia filo-occidentale. Di pronta risposta Putin invade la Crimea, penisola dell'Ucraina meridionale che oggi è una Repubblica autonoma di fatto federata alla Russia. Il Cremlino non manca di fomentare l'ondata di separatismo che ne è scaturita, armando e finanziando i ribelli filo-russi per la conquista di parte del territorio ucraino. La rottura del tessuto geopolitico è inevitabile e si consuma con l'insurrezione del Donbass, l'indipendenza e la secessione della regione dall'Ucraina, attraverso un referendum a dir poco contestato. Si impongono così le due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, che occupano un'area grande grossomodo come l'Umbria e corrispondente a circa un terzo delle due grandi province omonime. E che negli ultimi anni hanno vissuto da "separate in casa" con l'Ucraina.

Gli Accordi di Minsk e la pace mai raggiunta - Dopo 14mila morti, città ridotte a fantasmi e migliaia di sfollati, le parti in causa tentano una parziale risposta con gli Accordi di Minsk del 2014 e del 2015, che prevedono la tregua armata e una maggiore indipendenza del Donbass da parte di Kiev. Nella realtà dei fatti, però, le intese sottoscritte in Bielorussa non sono mai rispettate e oggi potrebbero rappresentare la miccia di un conflitto più ampio fra Russia e Occidente nella contesa sull'allargamento della Nato a Est.

La guerra oggi - Se si domanda agli abitanti di confine, quasi tutte le parole riguardanti la guerra in Donbass appartengono alla semantica del freddo. Nei discorsi su quella quotidianità ferita, si parla di conflitto "congelato", di "grandine". Ogni giorno si registrano decine e decine di violazioni di un cessate il fuoco che, parola dei locali, non è mai stato davvero rispettato. Si racconta che qualcuno riesca addirittura a riconoscere i colpi d'artiglieria a seconda del fischio. Senza dimenticare che il Donbass è anche uno dei più grandi campi minati della Terra, con un milione e 600 mila ettari di terreno ad alto rischio che, secondo l'Onu, richiederebbe 60 anni per essere bonificato del tutto. E a patto che la guerra finisca oggi.

L'importanza di Mariupol - Il "fronte" del Donbass è una linea netta annerita dal fuoco degli scontri e interrotta, a sud, da una città dall'importanza strategica tutt'altro che trascurabile: Mariupol. Conosciuta una volta col nome di Zhdanov, la città ucraina si affaccia sul Mar d'Azov e rappresenta un passaggio obbligato per truppe e merci di Mosca verso la Crimea e le repubbliche filorusse. Ma Mariupol è diversa: non vuole essere inglobata nella galassia russa. Fondata dai cosacchi e motore dell'industrializzazione ucraina, la città appare però geopoliticamente sotto assedio russo: a Est, a meno di cento chilometri, è incalzata da migliaia e migliaia di miliziani filorussi; a 300 chilometri a Ovest, in Crimea, è minacciata dalle corrazzate e dai marines di Mosca; a sud, a neanche 70 chilometri, è tallonata dalla provincia russa di Rostov. E con il Mar d'Azov che rappresenta libertà e pericolo, trait d'union tra Cimea e Donbass e possibile bersaglio dei mezzi anfibi russi.

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