Ucraina, il "piano Kellogg" degli Usa per il dopoguerra
© Withub
© Withub
Il programma illustrato dall'inviato speciale Keith Kellogg è già finito nel vortice delle critiche, sia russe sia ucraine. Nonostante il dietrofront, però, il piano resta la base negoziale ufficiale (e iniziale) di Washington
di Maurizio Perriello© Withub
L'apertura degli Usa alla Russia aveva illuso il mondo sulle reali possibilità di raggiungere presto una tregua in Ucraina. Come previsto, gli obiettivi dei due schieramenti sono invece rimasti inconciliabili nonostante i proclami di distensione provenienti da Mosca e da Washington. Nella confusione generale sono puntualmente fioccati i piani di pace più disparati: da quello europeo in quattro punti a quello attribuito a Donald Trump per un cessate il fuoco entro Pasqua, passando per la firma di un'intesa "ponte" sulla navigazione nel Mar Nero. Tante parole, pochissimi fatti. Niente di strano, è lo schema classico dei negoziati tra potenze, accelerato dall'impostazione trumpiana: "Punto forte e poi cerco un accordo". Su questa linea viaggia l'ultimo e ufficiale programma statunitense per una tregua in Ucraina, illustrato dall'inviato speciale della Casa Bianca Keith Kellogg. Il piano prevede, tra le altre cose, una tripartizione del Paese e la creazione di zona demilitarizzata nella parte orientale. Un piano plausibile dal punto di vista militare, ma con molti dettagli "indigesti" alle parti coinvolte.
© Withub
© Withub
Le dichiarazioni di Kellogg sono importanti perché è la prima volta dall'invasione su larga scala dell'Ucraina che un alto funzionario statunitense propone il corso naturale del fiume Dnepr come linea di demarcazione per un assetto post-bellico. La proposta è giunta inoltre nello stesso giorno in cui l'inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha incontrato Vladimir Putin a San Pietroburgo per discutere proprio del dopoguerra.
Occorre una premessa. La proposta degli Stati Uniti rappresenta soltanto la base negoziale da mettere sul tavolo delle trattative, e che si spera conduca a un accordo definitivo sul cessate il fuoco. Attenzione: un cessate il fuoco, non la pace (che è materialmente improponibile). Non è dunque nulla di definitivo. Il che dimostra, una volta in più, quanto la conciliazione delle parti in conflitto sia ancora lontana nel tempo e dal consenso della cosiddetta "comunità internazionale". Una divisione del territorio ucraino in aree di influenza, sul modello tedesco durante la Guerra Fredda, è appunto l'idea di base e generica da cui potrebbero partire le discussioni per la gestione del dopoguerra russo-ucraino. A detta di Kellogg, la proposta offre uno degli scorci più chiari della "visione" del presidente Trump per il futuro dell'Ucraina. Non è ancora chiaro se gli Stati Uniti faranno pressione su Kiev affinché ceda ulteriore territorio alla Russia, oltre a quello attualmente occupato dalle truppe di Mosca.
Nel presentare il piano americano, in un'intervista al Times Kellogg si è lasciato scappare un'espressione molto criticata dagli osservatori: "Potremmo giungere a una soluzione che somigli a quella decisa per Berlino dopo la Seconda Guerra Mondiale, con una zona russa, una zona francese, una britannica e una statunitense". Il paragone evoca dunque un'Ucraina sconfitta, sul modello della Germania nazista. Un assist clamoroso alla narrazione del Cremlino, secondo cui Kiev sia sotto il controllo di élite politiche neonaziste. Dopo le polemiche, lo stesso Kellogg è intervenuto su X per aggiustare il tiro: "Intendevo proporre una forza di interposizione post-cessate il fuoco a sostegno della sovranità dell'Ucraina. Nelle discussioni, mi riferivo a zone di responsabilità di una forza alleata (senza truppe statunitensi). Non mi riferivo affatto a una spartizione dell'Ucraina".
Il piano Kellogg propone la divisione dell'Ucraina in tre zone, ognuna controllata da forze statali o internazionali differenti. I punti di demarcazione di riferimento sono sostanzialmente due: il fiume Dnepr e la linea del fronte del Donbass.
Tra la seconda (russa) e la terza zona (ucraina), lungo il confine rappresentato dall'attuale fronte di guerra correrebbe una fascia demilitarizzata larga da un minimo di 18 a un massimo 30 chilometri, a seconda dei punti salienti. Il punto più a nord sarebbe il confine russo, all'incrocio tra le due oblast ucraini di Lugansk e Kharkiv, mentre il bottone meridionale sarebbe fissato all'incontro col fiume Dnepr subito sotto la città di Zaporizhzhia. La funzione della cintura priva di militari e armamenti sarebbe di classico cuscinetto. Non proprio una garanzia, a giudicare dai precedenti storici.
Questa domanda ci offre l'occasione per chiarire una volta per tutte la differenza tra forze militari e peacekeeper. Nella zona occidentale ucraina prevista dal piano Kellogg la "coalizione dei volenterosi" schiererebbe contingenti inquadrati stile Nato, e non forze di interposizione per il mantenimento della pace (stile Onu). Prendendo in prestito il paragone di Kellogg con la Germania divisa in due nel Novecento, nella parte occidentale ucraina stazionerebbero forze di combattimento e di difesa contro eventuali aggressione esterne. Nella zona demilitarizzata andrebbero invece a posizionarsi i famosi peacekeeper, cioè osservatori militari sotto l'egida Onu, simile al modello Unifil in Libano, che tengano sotto controllo la situazione alla frontiera e spengano eventuali micce di guerra. Un'altra possibilità è che la zona smilitarizzata venga pesantemente cosparsa di mine e monitorata da remoto dagli eserciti russo e ucraino, come avvenuto in Corea.
Ribadendo che il piano Kellogg rappresenta una base da cui partire, allo stato attuale è ovviamente irricevibile sia da Mosca sia da Kiev. Nonostante il funzionario americano abbia sottolineato come la presenza di truppe europee in Ucraina rappresenti "una provocazione" per la Russia, il Cremlino ha ovviamente respinto uno scenario di questo tipo. Rodion Miroshnik, ambasciatore del ministero degli Esteri russo, ha detto chiaramente che Mosca la considererebbe "un'occupazione militare". Kiev, dal canto suo, non può accettare una violazione della sovranità e dell'integrità territoriale. Interrogato dal quotidiano russo Izvestia sulla fattibilità del piano Kellogg, durante un vertice in Turchia il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha non si è degnato neanche di rispondere e si è allontanato. Eppure, tralasciando il secco e prevedibile rifiuto di Mosca e Kiev, per la prima volta è stato proposto uno scenario attuabile e sostenibile dal punto di vista unicamente militare. Soprattutto tenendo presente la premessa del piano: non è stato pensato per una pace definitiva, ma per il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco.
Seguendo il piano statunitense, l'Ucraina otterrebbe la garanzia sul campo della protezione occidentale, rinunciando temporaneamente alla restaurazione dei confini pre-guerra. Sulle tempistiche della tregua e della definizione delle frontiere tra i due Paesi dovranno svolgersi i successivi negoziati. Dall'altro lato, la Russia manterrebbe il controllo "fino ad accordo contrario" dei territori occupati e potrebbe riorganizzarsi dietro un fronte militarmente più difendibile di quello attuale. Senza contare l'opportunità di presentare questo accordo in patria come una "vittoria", almeno parziale. Al netto di tutto, Kiev potrebbe accettare di partire dalla base negoziale di Kellogg, nella speranza di prendere tempo e approfittare della fretta russa di congelare il conflitto, prima che divampino fiamme di ribellione interne. All'altro capo del tavolo, gli Usa di Trump puntano molto sull'aspetto economico. In questo senso, nel caso non venga raggiunto un compromesso sulle zone militari, un accordo sulle terre rare e altre intese di questo tipo cementerebbe il sodalizio Kiev-Washington, mettendo ancora di più alle strette Mosca.