Dopo tre anni, la guerra scivola verso i negoziati. Ma la svolta impartita dall'amministrazione Trump presenta molti rischi. Il grande disegno strategico degli Usa, i piani sul coinvolgere attori non europei nel dopoguerra e il rovesciamento d'approccio alla Cina
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Nel suo libro "The Art of the Deal" ("L'arte di fare affari"), Donald Trump rivela la strategia che segue per raggiungere i suoi obiettivi: puntare forte e poi accordarsi. Più che puntare forte, sui negoziati per la guerra in Ucraina il presidente americano ha giocato pesante, dando alla Russia l'occasione di portarsi a casa un grande e insperato piatto. Non solo ottenere pezzi d'Ucraina, ma anche rilanciare la propria influenza in Europa dopo tre anni di conflitto. Schiaffo bruciante per l'altro giocatore al tavolo, Kiev, che si ritrova "tradito" dal grande protettore che finora gli ha passato le carte senza esporsi direttamente con Mosca. Beffa delle beffe per gli osservatori della partita, gli Stati europei, che adesso si trovano a dover trovare in fretta e furia carte e fiches da passare a Kiev, in un tavolo parallelo. Chi non ha perso nulla, ma anzi ha goduto di parte dei piatti russi, è la Cina.
Trump ha un tempo limitato per fare ciò che vuole. Gli apparati - Cia, Pentagono e Congresso su tutti - sono i reali decisori delle traiettorie degli Usa. E, a differenza di otto anni fa, hanno sposato la causa di Trump perché ormai era necessario aprire alla Russia per sottrarla alle grinfie della Cina. Una volta raggiunta una qualche forma di tregua, inevitabilmente temporanea, Trump avrà assolto al suo primo grande compito strategico e sarà in un certo senso meno utile. In altre parole: una volta congelato il conflitto russo-ucraino, il presidente dovrà essere tenuto più a bada. Per adesso firma montagne di ordini esecutivi e annuncia cambiamenti epocali che gli Usa non possono però permettersi. L'impero non può chiudere bottega, e dunque non può esportare massicciamente, richiamare truppe a casa, fermare l'immigrazione e ritirarsi dal mondo. Semplicemente non può, checché ne dica Trump.
Russia e Cina non si vogliono bene, per dirla in maniera poetica. Ma hanno deciso di cooperare temporaneamente per approfittare del momento di debolezza degli Usa. Una cooperazione a tutto campo: economica, militare, infrastrutturale, tecnologica, nucleare. Pechino è il grande rivale futuro di Washington per l'egemonia globale, e pertanto non si vuole che si rafforzi di tutto il meglio che Mosca ha da offrire: grano, idrocarburi e risorse, cedute a prezzo scontato in moneta cinese e per giunta a rate. In Asia Centrale si fanno affari per miliardi di miliardi di euro, coinvolgendo anche altri Paesi: le ex repubbliche sovietiche che finiscono in -stan, l'India, la Corea del Nord e anche l'Iran. Dal Caspio all'Artico, i progetti multipolari di un ordine alternativo a quello della globalizzazione hanno scadenza anche a 50 anni. Segnale che il tempo della tensione e della violenza è ancora drammaticamente lungo. E che altri focolai di scontro diretto potrebbero esplodere in zone calde come Taiwan o il Caucaso. Per non parlare dell'Africa, autentico teatro di guerra permanente dove si sperimentano le armi e le tattiche del futuro. Un laboratorio bellico terribile, proprio come quello ucraino è stato per droni e tecnologie militari.
L'amministrazione Trump ha avviato uno sforzo accelerato per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina, ma rischia di sfociare nel suo contrario. Già a dicembre, prima dell'insediamento, in gran segreto e senza annunci come richiede la prassi diplomatica. Gli elementi chiave del piano sono chiari da mesi: un cessate il fuoco più o meno lungo l'attuale linea del fronte, con l'occupazione della regione russa di Kursk come pedina di scambio irrisolta nelle mani di Kiev, e accordi di sicurezza per l'Ucraina, che coinvolgono principalmente truppe europee ma sono sostenuti dalla potenza aerea statunitense. Potrebbe funzionare, secondo esperti come Daniel Fried, membro dell'Atlantic Council ed ex funzionario del Dipartimento di Stato americano. La sicurezza per l'Ucraina è fondamentale. Insistere affinché gli europei mettano in campo le truppe per scoraggiare i nuovi attacchi russi dopo un cessate il fuoco è una mossa audace, e sta guadagnando terreno. Gli Stati Uniti hanno chiesto ai loro alleati europei di specificare cosa sono disposti a fornire per sostenere il Paese invaso. Questo approccio brusco potrebbe essere inteso a spingere gli Stati Ue a buttarsi nella mischia o a tacere. Alcuni di loro sembrano persino essere più vicini a mettere in campo: il primo ministro britannico Keir Starmer ha sostanzialmente accettato la sfida e visiterà Washington la prossima settimana per concretizzarla. Non è un accordo, ma un inizio sicuramente. Il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha escluso intervento della Nato e di soldati americani in Ucraina per mantenere la pace dopo il cessate il fuoco. Ok, ma ormai è acclarato che la Nato è ampiamente presente sul suolo ucraino, per fornire addestramento e consulenza ai locali. Questa retorica di facciata nasconde un piano trapelato da ambienti diplomatici, secondo cui gli Usa vogliono coinvolgere nel dopoguerra quelli che definiscono "attori non europei". A partire proprio dalla grande avversaria, la Cina.
All'inizio degli Anni Settanta, gli Usa inviarono Kissinger in Cina per portarla dalla propria parte e sottrarla a quella che era la potenza maggiore del loro sodalizio, l'Unione Sovietica. Oggi provano l'esatto contrario, ma attraverso accordi economici. La Cina detiene parte del deficit statunitense ed è un perno del mercato globale creato proprio dagli Usa. Coinvolgere Pechino nel mantenimento della pace e nella ricostruzione ucraina potrebbe portare due vantaggi sul breve-medio termine a Washington. Innanzitutto per poter dire il futuro dell'Ucraina "non è una questione europea o della Nato", o non solo almeno; e poi perché tirare dentro attori lontani in affari comuni consente di controllarli meglio e anche di accordarsi con loro. In questo senso andrebbe letta anche la maggiore vicinanza degli Usa, attraverso le figure di Elon Musk e J. D. Vance, a movimenti anti-sistema ed estremisti europei come AfD in Germania. Gli Stati Uniti sanno bene che la Cina non è ancora matura al punto da espandere il proprio imperialismo oltre i confini nazionali. Come ha dimostrato del resto l'Afghanistan: gli Usa si ritirarono dal Paese nel 2021, lasciando campo aperto ai cinesi perché se ne occupassero loro. Scommettendo che i problemi interni alla Repubblica Popolare fossero sufficienti a non consentirle di proiettarsi in maniera preoccupante in altri Paesi. E lo stesso stanno scommettendo anche oggi, alle porte d'Europa.
Da un altro punto di vista, Donald Trump sembra però ostacolare il suo stesso piano. I recenti colloqui tra Usa e Russia in Arabia Saudita sembravano andare bene. Non c'è stata alcuna svolta, solo l'inizio di un processo. Ma i successivi attacchi di Trump a Zelensky e le apparenti richieste che l'Ucraina tenga elezioni come precondizione per i colloqui potrebbero spezzare lo slancio che la spinta iniziale della Casa Bianca aveva generato. La disputa con Zelensky (definito "dittatore non eletto") potrebbe essere intesa ad ammorbidire gli ucraini, ma ha l'effetto di rafforzare la mano della Russia. E gli ostacoli non sono finiti. Washington spingerà Mosca a porre fine alla guerra o l'amministrazione Trump cederà alla richiesta del Cremlino che l'Ucraina tenga prima le elezioni? Gli Stati Uniti sosterranno i loro alleati europei se accetteranno di inviare truppe in Ucraina? L'amministrazione Trump sprecherà la sua influenza accettando l'allentamento delle sanzioni prima che la Russia se lo sia guadagnato rispettando tutti i termini di un cessate il fuoco? Dopo tre anni di orrore e morte, le incognite restano ancora tante.