La notizia era stata lanciata e smentita nel pomeriggio. Il Paese perde il suo uomo forte. Nessun successore era stato indicato
Il presidente dell'Uzbekistan, Islam Karimov, è morto. Lo ha annunciato la televisione di Stato, confermando le indiscrezioni e la ridda di voci che da tempo giravano. Karimov, 78 anni, governava da oltre venticinque anni con il pugno di ferro la nazione centroasiatica e nessun successore è stato chiaramente indicato.
"Cari connazionali, è con grande dolore nel cuore che vi annunciamo la morte del nostro caro presidente", ha affermato il presentatore incaricato di comunicare la notizia alla popolazione. Karimov, uomo forte uzbeko, aveva visto aggravarsi notevolmente le sue condizioni di salute dopo essere stato colpito da un'emorragia cerebrale.
Tre giorni di lutto nazionale, sabato i funerali - I funerali di Karimov si terranno sabato. Lo ha annunciato la tv di Stato. Un presentatore dell'emittente pubblica ha annunciato che una commissione del governo guidata dal primo ministro Shavkat Mirziyoyev organizzerà le esequie "nella città di Samarcanda il 3 settembre". Sono stati inoltre proclamati tre giorni di lutto nazionale.
Primo segretario del Partito Comunista uzbeko alla vigilia del crollo dell'Unione Sovietica, Karimov scambiò ben presto il simbolo della falce e martello con la falce di luna, tipica delle nazioni musulmane, e s'installò alla guida della Repubblica godendo sempre di gradimenti alle elezioni vicine al 90% - percentuali per l'appunto "uzbeke".
Ogni tipo di opposizione, anche grazie a un efficientissimo servizio segreto modellato sul KGB, è stata spazzata via fin da subito e sia l'Onu che Human Right Watch o Amnesty International sono concordi nel definire "sistematica" in Uzbekistan la violazione dei diritti umani, condita da episodi raccapriccianti come il caso - del 2002 - di alcuni oppositori bolliti vivi; episodio citato nel libro "Omicidio a Samarcanda" dell'ex ambasciatore britannico a Tashkent Craig Murray, dimessosi in polemica con le politiche del governo britannico del tempo.
Nel suo lungo dominio, Karimov ha potuto muoversi con grande disinvoltura e sostenere la "guerra al terrore" di George W. Bush offrendo alle forze della coalizione la base militare di Khanabad per l'operazione in Afghanistan, ottenendo aiuti americani per 200 milioni di dollari l'anno e il favore della Casa Bianca (che lo accolse a Washington con tutti gli onori).
Il clan Karimov ha continuato ad arricchirsi e a comandare, spazzando via ogni opposizione. Forse ossessionato dall'idea di poter essere estromesso dal potere, Karimov non ha affrontato il problema della "successione". L'unica ad aver goduto per un certo periodo del favore del padre è stata la figlia Gulnara Karimova, la cui parabola ascendente è stata però interrotta da una serie di inchieste per corruzione e dal turbolento divorzio dal magnate Mansur Maqsudi, americano di origine tagika-uzbeka. E ora si trova (di fatto) agli arresti domiciliari.
La questione del dopo-Karimov resta dunque al centro degli attuali interrogativi. Ed è di primaria importanza sia per Mosca che per il resto dell'area: tutti hanno interesse che l'Uzbekistan - paese più popoloso dell'Asia Centrale - resti stabile. Secondo gli esperti i rischi di una destabilizzazione sono "remoti". A succedergli dovrebbero essere o l'attuale primo ministro, Shavkat Mirziyoev, o il capo dei servizi segreti, Rustam Inoiatov. Entrambi filorussi. Un altro possibile candidato è il vice premier ed ex ministro dell'Economia Rustam Azimov. Che però vanta un master ad Oxford e connessioni "occidentali".