La giovane, portata in Pakistan e costretta ad abortire, è riuscita ad inviare dei messaggi di aiuto alle compagne che hanno allertato le autorità. La sua colpa? Innamorarsi di un ragazzo cristiano
© ansa
La giovane pakistana residente a Verona, portata con l'inganno dalla famiglia in patria e fatta abortire, è stata liberata da chi la stava trattenendo ed è ora al sicuro e sta bene, in compagnia di rappresentanti delle autorità italiane. Secondo fonti bene informate, Farah sarebbe stata liberata nella zona di Islamabad grazie a un intervento della polizia locale. La notizia ha trovato conferma a Verona in ambienti vicini alle indagini.
I messaggi alle amiche - La colpa di Farah, 20 anni, è stata quella di innamorarsi di un compagno di scuola anche lui di origini pakistane ma adottato da una famiglia di Verona, quindi cristiano, da cui aspettava anche un figlio. Con la scusa del matrimonio del fratello, però i familiari l'hanno portata in Pakistan dove l'avrebbero costretta ad abortire. Dal suo Paese d'origine Farah è riuscita a inviare un messaggio di aiuto via WhatsApp alle compagne di classe per descrive l'incubo, la segregazione in una stanza, poi il silenzio e le indagini della polizia.
Farah come Sana, fatto gravissimo - Sulla vicenda, che non può non far pensare alla tragica fine di Sana Cheema, la 25enne anni di Brescia, uccisa in Pakistan dal padre e dal fratello per aver rifiutato un matrimonio combinato, è intervenuta anche la Farnesina, chiedendo all'ambasciata d'Italia ad Islamabad di verificare con urgenza, con le autorità locali, le notizie relative alla studentessa residente a Verona. Un episodio che, se sarà accertato, sarebbe gravissimo. Anche questa volta ad essere contrastato con la violenza c'è l'amore, nato tra i banchi di scuola, tra la ventenne e un suo compagno di studi in un istituto superiore scaligero, e un bambino, che sarebbe dovuto nascere in estate. Per facilitare il parto, i dirigenti scolastici avevano anche pensato di anticipare per la ragazza gli esami di maturità, per permetterle di portare a termine la gravidanza in modo sereno.
I maltrattamenti in famiglia - La storia della giovane non è facile. Il nucleo familiare vive a Verona dal 2008; il padre, proprietario di un negozio in città, era stato denunciato per maltrattamenti e a settembre la ragazza si era rivolta ai servizi sociali del Comune, che per qualche tempo l'hanno ospitata in una struttura protetta nell'ambito del "Progetto Petra" contro le violenze di genere. Il 9 gennaio, però, la ventenne lascia la casa protetta dicendo di essersi riconciliata con i parenti. Poco dopo c'è stata la partenza per il Pakistan, giustificata dal matrimonio del fratello. Da quel viaggio però, non è più tornata, e alle amiche della classe sono cominciati ad arrivare messaggi scritti e vocali in cui la ragazza descriveva un incubo: chiusa in camera, legata a un letto, sedata con pillole fino all'intervento di una dottoressa che le avrebbe procurato l'aborto, la paura. Poi, il silenzio.
L'avvio delle indagini - La rete scolastica si è attivata, a partire dalle compagne fino alla dirigenza, e da qui alla Digos della Questura scaligera, che ha anche attivato il consolato pakistano in Italia. Anche il fidanzato veronese aveva lanciato l'allarme al progetto Petra. L'assessore ai servizi sociali, Stefano Bertacco, ha riferito che padre e fratello sarebbero rimasti a Verona per badare agli affari, e la giovane sarebbe sorvegliata in patria dalla madre e da una sorella.