Lo scafo marcisce al largo dal 2017 con un milione di barili di greggio. L'Onu vorrebbe metterlo in sicurezza ma alcuni gruppi yemeniti di Huthi si oppongono. E la corrosione procede lenta ma inarrestabile
In mezzo al mare dal 2017, al largo delle coste dello Yemen, c’è una nave con 1,1 milioni di barili di greggio. E’ la Safer, una petroliera in decomposizione che ora rischia di esplodere. Una fuoriuscita di petrolio dalla stiva innescherebbe una crisi irreversibile: potrebbe lasciare otto milioni di persone senza acqua potabile e distruggere in tre settimane lo stock ittico.
I fatti - E’ una lunga storia quella della Safer, la superpetroliera lunga 350 metri. Un terminale galleggiante dove le altre navi andavano a caricare o scaricare il greggio per poi riportarlo sulla terraferma tramite delle condutture subacquee. Quarantacinque anni di vita e poi si ferma nel 2017 a largo delle coste yemenite occidentali: da quel momento in poi è in mano ai ribelli Houthi. La nave contiene quattro volte la quantità di petrolio rilasciata dalla Exxon Valdez nel Golfo dell'Alaska, il più grande disastro ecologico della storia. E così diventa l’escamotage perfetto per i ribelli, che vogliono soldi in cambio della messa in sicurezza della nave.
Passano gli anni e l’acqua corrode lo scafo, in alcune zone lo spessore è ridotto a pochi millimetri. Si sono formate sacche di gas ad alto rischio esplosivo e una conduttura pare essersi staccata e galleggiare in superficie. La Safer letteralmente marcisce in mezzo al mare. A maggio 2020 le immagini satellitari riscontrano una prima perdita, esce dalla sala macchine, e il sistema antincendio non è operativo. In qualche modo i subacquei della Safer la rattoppano, ma la fuoriuscita di petrolio o la combustione sono un rischio reale. Il conto alla rovescia sta per scadere, se la Safer cedesse e i barili implodessero schiacciati dalla pressione sottomarina, il petrolio inquinerebbe gran parte del Golfo causando danni incalcolabili.
Cosa accadrebbe in caso di fuoriuscita - Una catastrofe umanitaria e ambientale. Otto milioni di persone perderebbero l’accesso all’acqua corrente se gli impianti di desalinizzazione venissero inquinati. Lo stock ittico del Mar Rosso dello Yemen verrebbe distrutto entro tre settimane. Un colpo inclemente per biodiversità in via di estinzione, una battuta d’arresto economica e logistica per molti Stati fragili che dipendono dal trasporto marittimo del Mar Rosso.
Uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha mostrato come la fuoriuscita di petrolio causerebbe la chiusura dei porti di Hodeidah e Salif, entrambi affacciati sul Mar Rosso. Con i porti chiusi 200.000 tonnellate di carburante non potrebbero raggiungere le coste dello Yemen, si tratta del 38% di fabbisogno nazionale di carburante. I prezzi della benzina e del gasolio aumenterebbero fino all’80%. Come detto, la fuoriuscita sarebbe una condanna a morte per lo stock ittico del territorio: in tre settimane tra 93,5%-100% della pesca nel Mar Rosso verrebbe bloccato dall’inquinamento delle acque. Aumenterebbe il rischio di ospedalizzazione cardiovascolare: dal 5,8 al 42% per tutta la durata della fuoriuscita.
Un caos ambientale che colpirà anche Arabia Saudita, Eritrea e Gibuti, perché il petrolio si diffonderà ben oltre le coste yemenite.
Un effetto domino - Non solo lo Yemen e i territori limitrofi rischiano di essere schiacciati dalla crisi. La rivista Nature lo ribadisce: “La fuoriuscita di petrolio dalla FSO Safer potrebbe ostacolare il commercio globale attraverso il vitale stretto di Bab el-Mandeb”, conosciuto anche come Stretto di Gibuti, situato tra le coste occidentali dello Yemen e il Corno d’Africa. Da quelle parti passa il 10% del commercio marittimo mondiale. “Le zone di esclusione create per la bonifica potrebbero deviare il traffico e le spedizioni subirebbero pesanti ritardi poiché le navi potenzialmente esposte al petrolio in superficie richiederebbero accurate operazioni di pulizia”.
Ma non si è arrivati a un dunque - I colloqui tra i ribelli Houthi, il governo dello Yemen e l'Onu sono falliti. Inascoltati i ripetuti avvertimenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’Onu ha chiesto agli Houthi il permesso di ispezionare la nave, ma i ribelli vogliono che la Safer venga riparata, un’operazione costosa. L’Onu ha dichiarato di non avere il denaro per coprire la spesa. Sulla nave sono presenti sette persone, unico equipaggio incaricato di controllare lo scafo in decomposizione. La pericolosità della situazione è stata messa in evidenza dagli esperti sauditi e da quelli dell’Onu. Ma la petroliera per ora rimane lì, a 60 km dalla città di Hodeidah, in mano agli Houthi. Così continua ad essere una minaccia per lo Yemen, ma non solo.