Il reportage mostra le presunte prove fotografiche dell'uso di queste armi contro i civili e ricostruisce il loro tragitto dagli stabilimenti sardi fino in Yemen
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"Bombe italiane, morti yemenite": è il titolo con cui il New York Times presenta un video reportage sulla vendita all'Arabia Saudita di armi prodotte in uno stabilimento della Sardegna, vicenda per altro già denunciata dalla trasmissione "Le Iene" in una puntata del 2016. Adesso il giornale statunitense riporta che le armi di fabbricazione italiana sarebbero state usate anche contro civili in Yemen. Nonostante il governo di Roma abbia più volte negato attività illegali dietro la vicenda, il Nyt solleva dubbi su una presunta violazione di leggi nazionali e internazionali.
Nel filmato, lungo 7 minuti e 15 secondi, viene mostrato il percorso del commercio delle armi, che non riguarda solo l'Italia, sottolinea il quotidiano. Nella sua inchiesta, il New York Times mostra le presunte prove fotografiche dell'uso di queste bombe contro i civili e ricostruisce il loro tragitto dagli stabilimenti della Rwm Italia, a Domusnovas, fino in Yemen.
"Queste esportazioni sono legali?" si chiede il quotidiano, facendo riferimento alle leggi nazionali e internazionali che vietano l'esportazione di armi a Paesi impegnati in conflitti. Il quotidiano ricorda che il governo italiano ha sempre insistito sul fatto che la vendita di armi all'Arabia Saudita sia legale.
La replica del Ministero degli Esteri - Dopo la pubblicazione del filmato, fonti della Farnesina hanno fatto sapere attraverso l'Ansa che "l'Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale e internazionale in materia di esportazione di armamenti e si adegua sempre e immediatamente a prescrizioni decise in ambito Onu o Ue. L'Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea". Il dicastero taglia corto ricordando che "quanto riportato dal New York Times è una vicenda già nota, sulla quale il Governo ha fornito chiarimenti più volte nel corso della legislatura, anche in sede parlamentare".
Il contributo italiano - Una delle gole profonde dell'inchiesta è stata di nazionalità italiana. Con una nota il senatore M5s Roberto Cotti fa sapere di avere collaborato al video: "Dopo mesi di stretta collaborazione con il Nyt, a cui ho fornito video, foto, documentazione, contatti, ecco ora l'inchiesta della prestigiosa testata americana. La denuncia è forte, le prove schiaccianti, le responsabilità del governo italiano evidentissime. Un governo che continua ad autorizzare l'export delle bombe nonostante le mie denunce, con ben sei interrogazioni parlamentari a cui non si sono degnati di rispondere per cercare di giustificare il loro operato. Un impegno, il mio, finalmente premiato".
A Cotti fa eco il deputato di Unidos Mauro Pili, uno dei primi ad avviare la battaglia contro la fabbrica di bombe Rwm in Sardegna, a Domusnovas, nel Sulcis, che sempre all'Ansa racconta: "Sono quattro mesi che ci lavoriamo insieme e i viaggi e le connessioni presenti nel reportage del New York Times sono quelli documentati da me: una storia che inizia tre anni fa con il mio primo intervento in parlamento in cui chiedevo al Governo di bloccare quello che sarebbe stato un traffico illegale. Oggi, dopo questo, le Procure facciano quello che devono fare. Il Governo sta coprendo una illegalità che sta uccidendo persone e bambini, non può che essere bloccato questo sistema che viene reiterato ormai sistematicamente con carichi di bombe di cui non conosciamo il quantitativo: la contabilità comparata tra ciò che si produce e ciò che si usa è in attivo, quindi vuol dire stanno creando arsenali la cui dimensione è sconosciuta".
La puntata delle "Iene" - Già un anno fa la trasmissione di Italia 1 "Le Iene" aveva sollevato il velo sulla produzione in Sardegna di armi utilizzate dall'Arabia Saudita contro la popolazione yemenita. Clicca di seguito per rivedere il servizio di Dino Giarrusso:
La nota di uno dei giornalisti del Nyt - Il reportage del Nyt è stato pubblicato sotto la firma dei due giornalisti e filmaker Malachy Browne e Barbara Marcolini e della producer Ainara Tiefenthäler. Browne ha pubblicato sulla propria pagina Facebook un lungo post in cui ricostuisce le modalità con cui il team ha lavorato. In particolare spiega che il video è il frutto di quasi un anno di ricerche e dell'incrocio di diversi strumenti: "Un drone con fotocamera, video di Facebook e immagini satellitari, foto di Twitter e di fotografi professionisti, documenti governativi e tracciatura di imbarcazioni, interviste con fonti di spedizione ed ex dipendenti della società per eludere l'ostruzionismo da parte di funzionari e società".