La filiera italiana dellʼauto sotto la scure del Malus
Dal primo marzo scatta lʼecotassa e le auto con emissioni di CO2 superiori ai 160 g/km pagheranno, al momento dellʼimmatricolazione, un sovrapprezzo al fisco tramite modello F24. A guardare tra i modelli colpiti sʼintuisce come la maggior parte delle auto soggette al “malus” siano di lusso o supersportive, ma purtroppo non solo queste. Stride soprattutto il fatto che una buona parte dei modelli penalizzati sia prodotta in Italia.
Insomma, sentita dallʼestero fa un certo, sgradevole effetto. Perché in Germania, Francia e altri Paesi europei non cʼè traccia di provvedimenti governativi che vadano contro gli interessi della filiera automobilistica. Tuttʼaltro, e spesso la Commissione UE è dovuta intervenire per le leggi troppo permissive dei singoli Paesi verso i “loro” costruttori, vedi la cosiddetta “legge Volkswagen” in Germania, che non consente la scalabilità del primo gruppo europeo, ammette ancora la partecipazione pubblica (il Land della Bassa Sassonia) e viola la libera concorrenza. Ma tantʼè: la legge che introduce lʼecotassa cʼè e bisogna farci i conti.
Le soglie soggette alla fiscalità aggiuntiva sono quattro, in base ai livelli di emissioni. Se gli scarichi di CO2 sono compresi fra 160 e 175 grammi al chilometro, lʼecotassa sarà pari a 1.100 euro; se da 176 a 200 g/km sale a 1.600 euro; se da 201 a 250 g/km di CO2 a 2.000 euro; infine oltre la soglia dei 250 g/km lʼecotassa equivale a 2.500 euro. Ma cʼè qualcosa che non torna ed è intuitivo: colpire unʼauto sportiva come una Ferrari o una Lamborghini, che minimo minimo costa 200 mila euro, con 2.500 euro di ecotassa non è la stessa cosa che colpire unʼauto da 25 mila euro con 1.100 euro di surplus fiscale! Ad esempio FCA ha già lanciato avvertimenti poco rassicuranti.