Dopo la sentenza di chiusura dellʼapp
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E adesso cosa farà Uber in Italia? Messa fuorilegge dal tribunale di Milano, per concorrenza sleale nei confronti dei taxisti con regolare licenza, il servizio "nativo digitale” che permette di trovare un accompagnatore con auto ha 15 giorni di tempo per bloccare lʼapp senza incorrere nella penale di 20.000 euro al giorno fin quando non cesserà il servizio. Ma la battaglia non finisce qui, i legali di Uber hanno già detto che faranno ricorso, "per non privare i cittadini italiani di una soluzione sicura, affidabile ed economica per muoversi nelle loro città".
Il punto è proprio questo: Uber fornisce un servizio e la natura digitale dello stesso ha permesso il dilagarne con estrema velocità. È uno dei frutti ‒ buoni o malsani che siano ‒ della rivoluzione digitale e sarà difficile se non impossibile arginarlo. Certo la sentenza del giudice Claudio Marangoni è chiara: Uber viola la concorrenza, perché i suoi conducenti non pagano lʼonerosa licenza dei tassisti, né sostengono lʼassicurazione per usi professionali delle auto dei servizi taxi, che percorrono centinaia di migliaia di km lʼanno e sono care. Insomma lʼautista Uber non si sobbarca i costi e gli investimenti di un tassista, procurando a questʼultimo uno svantaggio in termini di competitività. Lʼinibizione dellʼapp Uber-pop accoglie le richieste dei legali dei tassisti, ma la multinazionale americana è forte e lo sviluppo dei servizi web è così rapido che, cʼè da scommettere, la vicenda non finirà qui.