Dopo i rilievi e le scadenze imposti dall'Unesco, il ministro dei Beni culturali interviene: "Di fronte alle crisi economica globale sono la cultura ed il turismo le forze su cui puntare per il lavoro e il ruolo internazionale che meritiamo"
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Il ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, interviene sulla questione Pompei dopo l'ultimatum dell'Unesco al governo. "I rilievi Unesco fatti a gennaio sono da prendere in attenta considerazione - ha spiegato a margine del Rapporto annuale Federculture -. Il ministero da molti anni fa presente che ha bisogno di duemila unità nella custodia e nella vigilanza", ma serve anche trasparenza sulle gare.
"L'ultimo concorso è del 2008 - aggiunge Bray parlando della necessità di personale a Pompei - ed è stato fatto per 400 persone: si sono presentati in 139mila di cui più dell'80% laureati. Forse questa cifra dice molto. Uno dei compiti che mi sono dato - continua il ministro - è mettere il ministero nelle condizioni di maggior trasparenza possibile, per cui si potranno riconoscere i passi che faremo in avanti e anche criticare quelli indietro".
Le "scadenze" di Pompei - Su Pompei pendono due spade di Damocle: da un lato la scadenza imposta dall'Unesco del 31 dicembre per restare tra i siti considerati "patrimonio dell'umanita", dall'altra le grandi opere da effettuare entro il 2015 per non perdere i fondi Ue. Entro queste date dovranno essere avviati in maniera massiccia i restauri del sito archeologico.
"Due dei primi cinque cantieri sono avviati - ha spiegato Bray -, il terzo partirà in questi giorni e gli altri due sono fermi per un supplemento di controlli sulla trasparenza. Entro il 2015 dovremo aprirne 39, una sfida che abbiamo intenzione di vincere. Insieme al governo sono impegnato su Pompei e per un piano complessivo di rilancio dei Beni culturali".
"Per il rilancio della cultura è necessario fare network fra pubblico e privato" - "Non è più tempo di usare la retorica delle parole - spiega il ministro - il mio ministero, ad esempio, ha più di 700 siti internet. Non è solo un problema di spesa ma un modo di rappresentare il Paese. In una reale logica di servizio - prosegue - non solo di ritorno economico, dobbiamo essere capaci di fare network tra pubblico e privato ma anche tra cultura e turismo, beni artistici e paesaggio. Come dire, la cultura delle culture".
"Serve una visione ad ampio raggio" - Nel corso del suo intervento più volte il ministro ha quindi ribadito la necessità di una "visione a più ampio raggio. Il Paese - dice - deve tornare a fare sistema, superare le contrapposizioni di interessi tra individui e collettività. Dobbiamo organizzare la molteplicità delle offerte e sperimentare, cercare strade nuove, con un fortissimo grado di innovazione".
"In tempo di crisi, la cultura può essere la base per un rilancio" - E, ancora: "Nel corso degli ultimi anni la cultura è stata oggetto di due attacchi: una poco lungimirante, riduzione dei finanziamenti, e una delegittimazione sul piano politico, perché con la cultura non si mangerebbe. E' vero il contrario: di fronte alle crisi economica globale sono la cultura ed il turismo le forze su cui puntare per il lavoro e il ruolo internazionale che meritiamo. Questa è una crisi non solo economica, ma di ideali, che produce pericolose derive".