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Dall'elezione alla segreteria del Partito socialista italiano alla conquista della presidenza del Consiglio, fino all'inchiesta di Mani Pulite e alla morte ad Hammamet: la vita e la parabola politica di un leader unico nella storia d'Italia e non solo
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"Io nella mia vita la tranquillità non l'ho mai cercata". Così parlò Bettino Craxi. Ed è proprio questa la frase che forse, più di altre, descrive meglio la vita di uno dei più grandi uomini politici della Repubblica italiana, un leader con il quale il nostro Paese deve fare ancora i conti fino in fondo. A vent'anni dalla sua morte, avvenuta il 19 gennaio 2000, il ricordo del leader socialista non può non tener contro di un'assenza pressoché totale di "tranquillità" nella sua vita personale e politica: dall'elezione alla segreteria del Partito socialista italiano alla conquista della presidenza del Consiglio, fino all'inchiesta di Mani Pulite e alla morte ad Hammamet, in Tunisia, mentre erano ancora in corso processi contro di lui.
"La mia vita è stata una corsa, come la vita di un'atleta", affermava ancora Craxi in una delle ultime interviste della sua vita. E ancora: "In verità, non mi sono mai neppure posto il problema della felicità". Quella di Craxi fu una "corsa a ostacoli", come lui stesso ha detto, in cui si vide amato e odiato con la stessa intensità, osannato e ferocemente detestato, fino al lancio delle monetine davanti all'hotel Raphael a Roma.
L'aiuto agli ebrei in fuga Torniamo allo start. La passione politica di Bettino Craxi nasce e cresce in famiglia, dove nei primi Anni Quaranta respira il clima dell'opposizione al regime. Uno scenario in cui il giovane Craxi fa una prima esperienza di quell'impegno che poi caratterizzerà la sua intera parabola politica. "Durante la guerra c'erano ancora gli ebrei - raccontava il padre di Bettino, Vittorio - che volevano oltrepassare il confine". "Conoscevo i boschi e i sentieri alla frontiera svizzera - ricordava invece il diretto interessato - e in particolare un canalone che conduceva oltre confine".
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L'inizio dell'impegno politico e il basket Le elezioni politiche del 1948, nelle quali suo padre è candidato, rappresentano la prima campagna elettorale di Bettino Craxi, che si unisce agli attivisti. Quattro anni dopo, a soli 17 anni, sottoscrive la prima tessera del Partito socialista italiano. Passione per la politica, ma anche per lo sport. Bettino amava infatti giocare a basket, con un'enfasi molto simile alla forza del suo impegno civile: tanto che, una volta, fu squalificato per aver rivolto parole "poco gentili" all'arbitro. Questi due "amori" lo portarono, come ricordò lui stesso, a dare diversi esami di riparazione a scuola.
La svolta del Psi L'anno cruciale di questa prima fase è il 1956. E d'altronde non poteva essere altrimenti: è l'anno delle denunce dello Stalinismo al XX Congresso del PCUS e dell shock delle truppe sovietiche che invadono l'Ungheria, soffocando i fermenti d'indipendenza. Ma è anche l'anno della nascita di una nuova generazione socialista, che vedrà in Craxi una figura di spicco. "Conoscendo coi miei occhi il comunismo, ho subito capito che per il mio Paese non andava bene", disse in un'altra intervista. Proprio dopo i fatti d'Ungheria, il Congresso del Psi approva la mozione autonomista di Pietro Nenni. Tra i fedelissimi di quest'ultimo, c'è Bettino Craxi. Il suo impegno per il partito si svolge nella sua città natale, Milano.
La "scalata" e il Sessantotto Nel corso della sua carriera politica, Craxi ha percorso ogni singolo gradino del partito: da funzionario di zona a Sesto San Giovanni all'incarico di consigliere comunale a quello di assessore all'Economato nel 1960 nella giunta milanese di centrosinistra, la prima in Italia. Nel 1965 viene eletto nella direzione nazionale del Partito e diventa il punto di forza per Nenni nell'unione coi socialdemocratici di Saragat nel 1966. Due anni dopo si tengono le elezioni politiche e Craxi diventa deputato. La tornata, però, non premia Nenni, che viene messo in minoranza. Ma il Sessantotto è il Sessantotto. Il Psi, sempre più isolato nella sua autonomia, accoglie gli esuli della Primavera di Praga, spazzata via dai carri armati sovietici intervenuti in Cecoslovacchia,
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L'elezione a segretario e il nuovo corso Nel 1976 cade il quarto governo Moro e nelle elezioni anticipate i socialisti subiscono una pesante sconfitta. Nel partito si respirava una voglia di cambiamento potente, che portò alla nomina di Craxi come nuovo segretario. Il nuovo corso ideologico era servito: Bettino Craxi capì che le concezioni vetero-marxiste non rispecchiavano più le istanze della società e, pertanto, rivalutò il pensiero libertario di un socialismo democratico e liberale prendendo le distanze dal leninismo. Craxi si presentò agli italiani in una maniera totalmente nuova: si mostrò attento ai movimenti della società civile e alle battaglie per i diritti civili, sostenute dai Radicali, curò la propria immagine attraverso i mass media e mostrò di non disdegnare la politica-spettacolo.
Presidente del Consiglio La nuova linea di Craxi venne duramente criticata dalla sinistra interna, ma ebbe il merito di portare il partito all'ottimo risultato raggiunto alle elezioni politiche del 1983 (dal 9,8% all'11,4%). In seguito a ciò, Craxi, che nel 1979 aveva dovuto rinunciare al precedente incarico, chiese ed ottenne la presidenza del Consiglio e, il 21 luglio, divenne il primo socialista a rivestire tale ruolo. Il primo governo Craxi venne sostenuto dal cosiddetto Pentapartito, un'alleanza fra Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli. Iniziò una nuova stagione politica scandita da tappe importanti per la storia italiana: dal Concordato con la Santa Sede (con cui il cattolicesimo cessava di essere considerato "religione di Stato") alla lotta all'evasione fiscale (con l'obbligo del registratore di cassa e dello scontrino). Rimase però "un inutile abbaiare alla luna", come lo definì Craxi stesso con amarezza, il progetto di una "grande riforma" costituzionale in senso presidenzialista, che desse maggiore efficienza in senso decisionista ai poteri pubblici.
La crisi di Sigonella E veniamo a quello che è forse l'episodio più noto a livello internazionale della politica estera craxiana: la cosiddetta "crisi di Sigonella". Nell'ottobre del 1985, nella base Nato siciliana di Sigonella, si rischiò lo scontro armato tra Vam (Vigilanza aeronautica militare) e carabinieri di stanza all'aeroporto da una parte e la Delta Force (reparto speciale delle forze armate statunitensi) dall'altra. La tensioni salì all'indomani di una rottura politica, poi ricomposta, tra Craxi e il presidente americano Ronald Reagan, circa la sorte dei sequestratori della nave da crociera italiana Achille Lauro, che avevano ucciso Leon Klinghoffer, un passeggero disabile, statunitense ed ebreo. Craxi riteneva che i terroristi andassero processati sotto la giurisdizione italiana. E così fu, anche se il loro capo, Abu Abbas, riuscì a rifugiarsi in Iraq.
Il secondo governo Craxi e la "staffetta"La tranquillità, come abbiamo detto, non era decisamente cosa per Craxi. Una nuova crisi esplose nel 1986. Ciriaco De Mita, il segretario della Democrazia Cristiana, ottenne che il secondo incarico conferito dal nuovo Capo dello Stato Francesco Cossiga a Craxi fosse vincolato a un informale "patto della staffetta", che avrebbe visto un democristiano alternarsi alla guida del governo dopo un anno, per condurre al termine la legislatura. Detto, fatto: nel 1987 il sipario sul governo Craxi calava a favore di un nuovo esecutivo guidato da Fanfani. Negli anni successivi Craxi ottenne importanti ruoli presso le Nazioni Unite, tra cui quello di rappresentante del segretario generale dell'Onu Peréz de Cuéllar per i problemi dell'indebitamento dei Paesi in via di sviluppo (1989).
Il C.A.F. e l'epilogo Nel 1989 Craxi punta nuovamente a Palazzo Chigi. Per scalzare De Mita dalla guida del governo e della Cd, stringe un'alleanza di ferro con Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani: il C.A.F. (dalle iniziali dei cognomi dei tre protagonisti), che fu definita la "vera regina d'Italia". L'esecutivo finisce però in mando ad Andreotti e la ricetta "a tre" si dimostra incapace di rilanciare il Paese. Il sistema politico in cui Craxi aveva agito da protagonista era prossimo al crollo, complici la recessione economica, la crisi politica della Prima Repubblica, l'aumento del già abnorme debito pubblico e l'affermazione delle liste regionali (in particolare la Lega Lombarda).
Mani Pulite E arriviamo così nel 1992, un anno dal suono storico familiare a tutti noi. Siamo nella Milano di Craxi, dove nel 1986 si avvicenda alla guida del Comune Paolo Pillitteri, cognato del leader socialista. Il 17 febbraio 1992 l'ingegnere Mario Chiesa, esponente del Psi, già assessore del comune di Milano con l'ambizione alla poltrona di sindaco, viene arrestato in flagrante per aver intascato una tangente da una ditta di pulizie. E' l'inizio della fine. "Una delle vittime di questa storia sono proprio io. Mi trovo davanti a un mariuolo che getta un'ombra su tutta l'immagine di un partito che a Milano, in 50 anni, non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione", dichiara Craxi in tv. Il 23 marzo Chiesa inizia a confessare svelando ai pubblici ministeri dell'inchiesta Mani Pulite il complesso sistema di tangenti che coinvolgono i dirigenti milanesi del Psi.
La caduta politica e il lancio di monetine Mani Pulite diventa uno slang sulla bocca di tutti gli italiani. Craxi va in Parlamento a pronunciare uno dei passaggi più celebri della sua oratoria: "Ciò che bisogna dire e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare od illegale". Ciononostante nel Paese si diffuse un radicato sentimento anticraxiano. Il 15 dicembre 1992 Craxi, ormai relegato ai margini della politica, ricevette il primo degli avvisi di garanzia della Procura di Milano. Il 29 aprile 1993 si dichiarò colpevole, davanti alla Camera e ai giudici, solo di finanziamento illecito al Psi, mentre negò sempre ogni accusa di corruzione per arricchimento personale. Montecitorio negò l'autorizzazione a procedere per quattro dei sei procedimenti intentati nei confronti di Craxi. Fu la scintilla che diede fuoco alle polveri popolari. L'Italia scese in piazza e, in particolare, a Roma. La folla attese Craxi all'uscita dell'hotel Raphael, l'albergo che da anni era la sua dimora romana e, quando l'ex premier uscì dalla porta principale, lo bersagliò con lanci di monetine. E' il punto finale della vita politica di Craxi.
Hammamet Nel corso del 1993 le prove contro Craxi si moltiplicano e la prospettiva dell'arresto si fa sempre più reale. Il 15 aprile 1994, con l'inizio della nuova legislatura in cui non era stato ricandidato, cessò il mandato parlamentare che aveva ricoperto per un quarto di secolo e, di conseguenza, anche l'immunità dall'arresto. Non restava che andare via. Le autorità lo sanno e il 12 maggio 1994 gli ritirano il passaporto per scongiurare l'espatrio. Ma erano arrivate troppo tardi, perché Craxi già da diversi giorni si era rifugiato in Tunisia. ad Hammamet, in gran segreto, protetto dall'amico Ben Alì. La fuga all'estero fu un modo per sottrarsi all'esecuzione delle condanne penali che gli erano state inflitte, ma non impedì il sequestro dei suoi beni, compresi i cimeli garibaldini successivamente venduti all'asta.
La latitanza e la morte Il 21 luglio 1995 Craxi sarà dichiarato ufficialmente latitante. Nel frattempo, dalla Tunisia, non smise di commentare le vicende politiche italiani, senza risparmiare accuse e critiche nei confronti dei giudici di Mani Pulite. Nonostante una mente lucidissima, Craxi si stava lentamente spegnendo: era affetto da cardiopatia, gotta e da molti anni malato di diabete. Quando fu colpito poi da un tumore a un rene, ci fu un vano tentativo di negoziarne il rientro in patria. Craxi morì intorno alle 15 del 19 gennaio del 2000 a 65 anni per arresto cardiaco tra le braccia della figlia Stefania.
"Dobbiamo usare il tempo come uno strumento, non come una poltrona". Torniamo dunque da dove siamo partiti: le parole di Bettino Craxi. Al netto dei giudizi, dei processi, delle condanne, delle riforme, dei gesti, delle idee, restano le parole. Alcune di queste sono, ancora oggi, di un'attualità spiazzante. E forse soltanto le sue, di parole, possono celare davvero il senso di una vita per niente tranquilla. Ecco perché sulla lapide della tomba di Craxi ad Hammamet troneggia un epitaffio, frutto della sua stessa penna: "La mia libertà equivale alla mia vita".