IL VICEMINISTRO LASCIA

Fassina lascia: "Pd partito padronale" Renzi: "No dimissioni per una battuta"

Alle accuse del viceministro dell'Economia il segretario democratico risponde così su Facebook: "Non me ne ero mai accorto". Sul rimpasto di governo assicura: "Non l'ho chiesto e continuo a non chiederlo"

05 Gen 2014 - 12:15
 © ansa

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E' stata una battuta di Renzi su Fassina a portare alle dimissioni del viceministro dell'Economia che lascia in polemica con lo stesso segretario Pd accusato di volere "un partito padronale". E il sindaco di Firenze replica su Facebook: "Visione padronale? Non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente dell'assemblea o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza".

"Dimissioni siano politiche, non per una battuta" - "Se il viceministro dell'Economia - in questi tempi di crisi - si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. Se si dimette per motivi politici, grande rispetto", ha aggiunto riferendosi sempre a Fassina. Il vicesegretario si è dimesso in modo irrevocabile, consapevole che i suoi spazi di manovra, dentro un esecutivo nel quale Renzi vorrà dettare la linea, sono sempre più ristretti.

Fassina: "Renzi padrone del partito" - "E' responsabilità di Renzi, che ha ricevuto un così largo mandato - ha dichiarato Fassina spiegando le sue dimissioni - proporre uomini e donne sulla sua linea". Di conseguenza, "restituisco irrevocabilmente il mio incarico a Letta. Ringrazio il presidente per la fiducia che mi ha concesso. Ringrazio anche il ministro Saccomanni per l'opportunità che mi ha dato per lavorare con lui. Ringrazio i colleghi, il viceministro Casero e i sottosegretari Giorgetti e Baretta per l'ottima intesa che abbiamo avuto. Continuerò a dare il mio contributo al governo Letta dai banchi della Camera".

Il segretario Pd accelera sulle riforme - C'è una priorità su tutte per il leader del Pd, Matteo Renzi: andare "fino in fondo al di là degli equilibri della maggioranza per mettere mano alla riforma elettorale. "In tre giorni abbiamo fatto più che in tre anni, la prossima settimana tentiamo di chiudere", ha spiegato il segretario che vede, dietro l'altolà di Angelino Alfano sulle unioni civili, solo "un'arma di distrazione di massa" per rinviare la legge elettorale. In cima alla lista di Renzi ci sono sempre la riforma elettorale e subito dopo, vista anche la complessità della materia, il job act, una riforma che al momento, ha spiega la responsabile Lavoro Marianna Madia, è un cantiere aperto, dove "la questione contrattuale, come l'articolo 18, non sono al centro".

Nel mirino Saccomanni, Zanonato e Lupi - Renzi ha sempre assicurato di non voler nessun rimpasto al governo stile vecchia Repubblica: "A differenza di quello che avrebbe fatto la politica tradizionale il primo mio gesto non è stato chiedere il rimpasto, come Fassina mi ha chiesto su tutti i giornali. Continuo a non chiederlo". Di sicuro si sa che non "gradisce" il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Più Anna Maria Cancellieri (Giustizia) e qualcuno dei cinque ministri di Angelino Alfano. "Il rimpasto non è all'ordine del giorno - ha assicurato il leader del Pd - la mia squadra funziona. Il rilancio del governo passerà a gennaio attraverso il contratto di coalizione, non con un carosello di poltrone tipico della Prima Repubblica".

La riforma della legge elettorale - Sulla riforma del voto, invece, per Renzi la prossima settimana il momento della verità. "Abbiamo fatto tre proposte: su una Fi ha mostrato interesse, e aspettiamo risposte da quello che e' il secondo partito, su un'altra ha aperto Ncd mentre Grillo ha preso tempo. Perché non dovremmo farcela?". Il leader Pd ha semplificato, certo, le difficoltà dei veti incrociati e nella riunione, a quanto si apprende, ha ribadito che il perimetro per cercare un accordo parte dalla maggioranza di governo ma per arrivare in porto "non chiudiamo a nessuno". Una determinazione che alimenta i timori di chi sospetta che il vero obiettivo di Renzi siano le elezioni politiche a fine maggio. Il premier Letta non la pensa così ed è convinto che alla fine si troverà un'intesa dentro la maggioranza.


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