L'intervista dopo il vertice di tre giorni in Umbria e la firma della Carta di Solfagnano
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In Italia ci sono poco più di tre milioni di persone con disabilità e l’inclusione sociale è più che un progetto eticamente corretto, è una necessità. Inclusione che passa anche per l’accesso al mondo del lavoro: le persone con disabilità tra i 15 e i 64 anni occupate sono il 32,5% contro il 58,9% della media nazionale (dati Istat). La realizzazione professionale non è solo una questione economica, ma anche di riconoscimento della persona. Bisogna passare dall'assistenza alla valorizzazione. E’ questa la convinzione con cui si sono svolti i lavori dell'ultimo G7 dedicato all'inclusione e alla disabilità. Il ministro per le disabilità Alessandra Locatelli ha incontrato in Umbria i suoi omologhi del G7 e di alcuni Paesi invitati speciali.
Ministro Locatelli, qual è il bilancio di questo G7?
“Volevamo accendere un faro su questi temi e lanciare un messaggio di concretezza, lo abbiamo fatto con le associazioni, le famiglie, con i tantissimi cittadini in piazza ad Assisi, e anche con l’impegno a portare al prossimo G20 una linea ministeriale specifica sull’inclusione, come ha annunciato la ministra sudafricana Sindisiwe Chikunga. Non dobbiamo fermarci”.
Nel corso dei tre giorni è stata firmata la Carta di Solfagnano. Otto impegni condivisi da tutti i Paesi presenti: il primo riguarda l’inclusione che deve essere una priorità per tutti, il secondo l'accessibilità a tutti i servizi, il terzo il raggiungimento di una vita autonoma e indipendente, il quarto la valorizzazione dei talenti e la conseguente inclusione lavorativa, il quinto la promozione della tecnologia come mezzo per superare le disparità, sport e cultura sono al sesto posto, seguiti dalla dignità della vita e dei servizi. Chiude la prevenzione in caso di emergenze climatiche e crisi umanitarie.
Su quale degli otto punti previsti dovremmo lavorare in particolare nel nostro Paese?
“Sull’inclusione lavorativa, perché è quello che dà veramente dignità al percorso di vita della persona con disabilità, e sui servizi, perché l’integrazione socio-sanitaria è fondamentale. Ne parliamo da tantissimi anni, dobbiamo migliorarci, e con la riforma che stiamo attuando e l’introduzione del Progetto di vita possiamo davvero superare le frammentazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali e dare risposte concrete”.
L’occupazione delle persone con disabilità resta un tasto dolente nonostante le numerose norme esistenti che ne impongono l’assunzione: il 20% delle persone con disabilità è in cerca di un impiego contro l’11% della popolazione generale.
Ognuno di noi ha un ruolo nella società a prescindere dalla disabilità?
“È questa la vera sfida che dobbiamo saper cogliere per il futuro. Il percorso che abbiamo iniziato va esattamente in questa direzione. Non dobbiamo più pensare che c’è un gruppo di persone a cui garantire assistenza. Dobbiamo promuovere uno sguardo nuovo che vuol dire iniziare a vedere in ogni persona le potenzialità e non i limiti. Dobbiamo investire sulle competenze di ciascuno”.
L'inclusione passa anche per il linguaggio e il decreto approvato lo scorso maggio prevede la sostituzione di tutti quei termini ritenuti offensivi nei confronti delle persone con disabilità (come “handicappato” o “portatore di handicap”).
Quando prevedete di terminare questo lavoro di sostituzione?
“Il lavoro è appena iniziato e non è un mero esercizio linguistico. Vogliamo accompagnare la riforma e il cambio culturale e di buon senso utilizzando le parole giuste. Siamo tutti persone, tutti con gli stessi diritti.”
Lei si occupa di disabilità da molto prima di arrivare al ministero. Negli anni c'è stato un cambiamento nella percezione delle persone con disabilità?
"Sicuramente molte cose sono cambiate negli anni e posso dire che anche io in prima persona ho vissuto momenti di discriminazioni e comportamenti sgradevoli di persone che non accettavano la nostra presenza di educatori con ragazzi con disabilità molto complesse, sono stati momenti che mi hanno fatto reagire e combattere per la dignità e il rispetto di tutti, ma credo anche che nel corso del tempo alcuni atteggiamenti si siano frenati e siano diventati fenomeni meno frequenti e più spesso condannati, anche se non sono scomparsi del tutto purtroppo. Comunque in questi anni siamo passati dal tema dell'integrazione, dell’inserimento, che ha visto coinvolta la scuola, il lavoro, lo sport, e il mondo sociale più in generale, al tema dell’inclusione e dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione compiendo però un ulteriore passo in avanti: investire sulle potenzialità di ogni persona, dare occasioni, valorizzare i talenti e le competenze di tutti. Questa è la grande sfida per il futuro e dobbiamo lavorarci con impegno perché è l’unico modo per non lasciare indietro nessuno e per rendere più forti le nostre comunità.”
Il modo in cui l'Italia applica l'inclusione è preso a modello da altri Paesi. In quali aspetti in particolare siamo migliori?
“In Italia abbiamo sicuramente un approccio che viene interpretato come positivo e all’avanguardia dagli altri Paesi anche se dobbiamo e possiamo migliorarci su moltissimi aspetti, uno fra tutti l’accessibilità universale che è alla base di qualsiasi azione per ogni persona. Ricordo, però, che siamo uno dei pochi Paesi ad avere una legge sull’inclusione scolastica e l’unico ad averne una specifica per l’inclusione lavorativa. E poi abbiamo una risorsa unica: il mondo del Terzo settore, che svolge un ruolo straordinario in tutto il Paese e in Italia ha una sua precisa identità, esperienza e capillarità per arrivare a rispondere ai bisogni delle persone, abbiamo una legge di riferimento che promuove la co programmazione e la co progettazione dei servizi e delle politiche tra le istituzioni e il mondo del terzo settore. Certo, c’è ancora tanto da fare ma siamo sulla strada giusta.”
Un bilancio del 2024 e i buoni propositi per il 2025.
“Molto positivo. Dico che in questi mesi abbiamo dato dignità a un tema che, da marginale, è diventato protagonista dell’agenda. Abbiamo promosso in Italia e all’estero una nuova prospettiva, il 2025 sarà l’anno dell’avvio della sperimentazione della riforma. Da gennaio in nove province (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste), verranno applicate le nuove procedure per la valutazione dell’invalidità civile e si introdurrà il Progetto di vita come strumento di presa in carico della persona. È una svolta concreta che riguarda la vita di milioni di persone e delle loro famiglie. Dobbiamo andare avanti sempre più convinti e uniti per garantire il diritto di ogni persona alla piena partecipazione alla vita civile, sociale e politica del nostro Paese.”