Alla vigilia del confronto con le opposizioni il premier chiarisce che, pur cercando una soluzione "ampiamente condivisa"; non è disposta ad accettare dilazioni
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Il premier Giorgia Meloni vuole una riforma "ampiamente condivisa", ma alla vigilia del confronto con le opposizioni avverte che non accetterà "atteggiamenti aventiniani o dilatori". E spiega che queste riforme le vuole fare "perché ho avuto il mandato dagli italiani e tengo fede a quel mandato: voglio dire basta ai governi costruiti in laboratorio, dentro il Palazzo, ma legare chi governa al consenso popolare".
Nella maggioranza sono però già emerse con evidenza forti differenze tra falchi e colombe: una spaccatura non tanto sul modello da adottare, quanto sulla strategia da intraprendere per raggiungere il risultato finale.
Oltre a Fratelli d'Italia, infatti, anche la Lega ritiene che, pur di ottenere il presidenzialismo, si possa andare avanti da soli, forzando i veti di chi non ci sta, mentre Forza Italia auspica che si trovi un'intesa bipartisan su un testo il più condiviso possibile. Matteo Salvini osserva che "il massimo sarebbe che se metti mano alla Costituzione lo fai tutti insieme". Ma, aggiunge, "se qualcuno continuerà a dire no a qualsiasi proposta, alla fine saranno gli italiani a metterci il timbro e ad autorizzarlo".
Più cauto, invece, l'altro vicepremier, Antonio Tajani: "Per quanto riguarda le riforme vogliamo ascoltare le proposte delle opposizioni: si devono scrivere insieme. Siamo pronti a lavorare in parlamento per garantire più stabilità in Italia perché questo significa essere più credibili".
Tra chi punta all'approvazione di un testo a colpi di maggioranza e chi invece vorrebbe raggiungere un accordo ampio, vedendo chiari i possibili rischi politici di un muro contro muro sulle modifiche costituzionali, le due impostazioni partono da due modi opposti di prevedere l'esito del referendum confermativo. I fautori della prova di forza sono convinti di poter vincere a mani basse una consultazione popolare a favore di un cambio di regole sulla forma di governo che il Paese attende da decenni. Di contro, i sostenitori della linea prudente, memori dell'esperienza vissuta da Matteo Renzi, sembrano più pessimisti, e temono che una sconfitta al referendum possa rappresentare uno scoglio contro cui potrebbe infrangersi il governo e la maggioranza che lo sostiene.
Anche il Pd sembra freddo: la segreteria dem ammonisce l'esecutivo perché questo appuntamento non sia un modo "per distrarre l'attenzione sui temi che interessano le persone e le necessità del Paese: lavoro, sanità, Pnrr". Mentre per il M5s Giuseppe Conte osserva: "Vediamo cosa ci dirà il governo: se sarà un prendere o lasciare il proprio progetto, che peraltro ha già annunciato e che a me sembra molto avventuroso, allora sarà il governo che vorrà rompere il dialogo con il Movimento 5 Stelle". E Anche per quanto riguarda il tema dell'autonomia differenziata la strada sembra in salita: il Coordinamento per la democrazia costituzionale ha annunciato di aver raccolto le firme necessarie per presentare una legge costituzionale di iniziativa popolare contro il progetto del governo.
Il confronto si preannuncia quindi in un clima di generale scetticismo. Per il governo ci saranno il premier, i vicepremier, il ministro per le Riforme Elisabetta Casellati, quello per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, i sottosegretari alla Presidenza Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, e il costituzionalista Francesco Saverio Marini. Sul fronte dell'opposizione ci saranno tutti i leader, compreso il presidente dei Cinque Stelle.