Si tratta di un percorso psicologico per cercare di riparare quanto commesso. Protagonisti il colpevole, la vittima e un mediatore. Se il programma non va a buon fine non cambia la pena del condannato
Introdotta dalla riforma Cartabia, la giustizia riparativa è una forma di risoluzione del conflitto, complementare al processo, basata sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro con l’aiuto di un terzo imparziale chiamato mediatore. Il colpevole ha l’obbligo di rimediare alle conseguenze del suo gesto, in collaborazione con chi ha subito il danno. Si tratta di un approccio che porta a un generale ripensamento del sistema penale. Infatti, secondo questo punto di vista, il reato diventa un conflitto tra esseri umani e, proprio per questo, si deve risolvere con una partecipazione attiva dei soggetti coinvolti. La ricerca di una soluzione condivisa è il fulcro di questo sistema, più partecipativo e inclusivo. Se il programma va a buon fine per il condannato è prevista una riduzione di pena. In caso contrario la sua posizione non si aggrava.
In questo modo, chi commette un reato non è solamente colpevole. Diventa piuttosto un agente, in negativo ma anche in positivo, perché riesce a capire le sue colpe e a rimediarvi. La chiave di questa dinamica è il dialogo e il confronto tra la/le vittima/e, l’offensore e il suo entourage di recupero, per dare così maggiori attenzioni alle parti coinvolte e completare tutte quelle dinamiche prettamente procedurali. La persona diventa centrale nella giustizia penale. In particolar modo la vittima, che generalmente ha un ruolo subordinato ed eventuale. Così invece diventa principale destinataria del sistema giustizia, nonché coinvolta attivamente nel procedimento.
La giustizia riparativa acquista per la prima volta una disciplina organica con la riforma Cartabia che dà attuazione alle molteplici disposizioni presenti in ambito europeo e internazionale. Si fa riferimento, tra le altre, alla Direttiva UE 29/2012, alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99. La normativa relativa alla giustizia riparativa è contenuta negli articoli dal 42 al 67 del d.lgs. 150/2022.
L’obiettivo del programma è quello di ottenere un esito riparativo che consiste nella ricostruzione del legame spezzato tra vittima, colpevole e comunità. L’esito riparatorio può essere simbolico (dichiarazioni, scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla società, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi) oppure materiale, come il risarcimento del danno (art. 56).
Si può accedere al programma per qualsiasi reato, a prescindere dalla gravità. La richiesta può essere presentata in ogni stato e grado del procedimento: nella fase esecutiva della pena o della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere. Per procedere è necessario fare domanda al giudice che valuta le richieste e le trasmette ai Centri per la giustizia riparativa. Il giudice dispone l’invio dell’imputato e della vittima presso i centri per l’avvio di un programma su richiesta dell’imputato, della vittima o d’ufficio, nel caso in cui reputi che tale misura possa essere utile e non comporti un pericolo concreto per interessati e accertamento dei fatti.
Al termine del programma viene trasmessa al giudice procedente una relazione redatta dal mediatore che contiene la descrizione delle attività svolte e dell’esito raggiunto. Nel caso della mancata effettuazione del programma, dell’interruzione o del mancato raggiungimento dell’esito non si hanno conseguenze particolari nei confronti dell'autore dell’offesa. Se, invece, il programma si è concluso con un esito riparativo, il giudice prevede una diminuzione di pena per "aver partecipato a un programma di giustizia con la vittima del reato, concluso con esito positivo" oppure ordina che l’esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di un anno.