Secondo l'Europa le norme che consentono l'obiezione di coscienza comportano un carico di lavoro eccessivo sui medici non obiettori. il ministro: "Dati vecchi, ora è diverso"
Le donne in Italia continuano a incontrare "notevoli difficoltà" nell'accesso all'interruzione di gravidanza. L'Italia viola quindi il loro diritto alla salute. Lo ha affermato il Consiglio d'Europa, pronunciandosi su un ricorso presentato dalla Cgil, secondo cui le norme della legge sull'aborto che permettono l'obiezione di coscienza comportano un carico di lavoro eccessivo sui medici non obiettori, mettendo a rischio la salute delle donne.
L'Italia inoltre, secondo il Consiglio d'Europa, discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l'obiezione di coscienza in materia di aborto, che sono vittime di "diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti".
Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin si dice però "stupita" dalla strigliata europea: "Mi riservo di approfondire con i miei uffici, ma dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi che risalgono al 2013. Il dato di oggi è diverso". Per il ministro, "dal 2013 a oggi abbiamo installato una nuova metodologia di conteggio e di misurazione analisi del contesto regionale, tanto è vero che abbiamo fatto rete con tutti gli assessori regionali per il conteggio dei dati. Nella relazione che abbiamo presentato al Parlamento recentemente non ci risulta una sfasatura. Ci sono soltanto alcune aziende pubbliche che hanno qualche criticità dovuta a problemi di organizzazione della singola regione e della singola azienda, e siamo intervenuti anche richiamando le regioni e le singole aziende, ma siamo nella norma, anche al di sotto. Abbiamo i dati regione per regione e azienda per azienda dal 2013 e possiamo fare la valutazione delle ore lavorate e delle interruzioni di gravidanza azienda per azienda. Abbiamo quindi dei casi che sono patologici ma il dato che oggi abbiamo è diverso".
I dati - Secondo l'ultima pubblicazione del Ministero della Salute trasmessa al Parlamento, nel 2014, per la prima volta, il numero di interruzioni volontarie di gravidanza è stato inferiore a 100.000. Sono stati notificati dalle Regioni 97.535 aborti, con un decremento del 5.1% rispetto al dato definitivo del 2013 (105.760 casi), più che dimezzati rispetto ai 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia. Anche gli altri indicatori confermano la continua diminuzione del ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza: il tasso di abortività nel 2014 è risultato pari a 7,2 per 1000, con un decremento del 5,9% rispetto al 2013 e un decremento del 58,1% rispetto al 1982. Il valore italiano, secondo i dati del ministero, rimane tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati. Il rapporto di abortività nel 2014 è risultato pari a 198,2 aborti per 1.000 nati vivi, con un decremento del 2,8% rispetto al 2013, e un decremento del 47,9% rispetto al 1982.
Per quanto riguarda il 2013, si conferma la stabilizzazione della percentuale delle donne straniere, pari al 34% delle interruzioni volontarie di gravidanza, con un tasso di abortività del 19 per 1.000: una tendenza tre volte maggiore delle donne italiane in generale, e di quattro volte per le più giovani. Fra le minorenni il tasso di abortività è del 4,1 per 1.000 (era del 4,4 nel 2012), uno dei valori più bassi rispetto agli altri Paesi occidentali. Resta costante, e la piu' bassa a livello internazionale, la percentuale di aborti ripetuti: il 26,8% degli aborti viene effettuato da donne con una precedente esperienza abortiva.
Continuano poi a diminuire i tempi di attesa fra rilascio della certificazione e intervento, e il 90,8% degli aborti viene effettuato nella regione di residenza. Riguardo l'obiezione di coscienza, dal rapporto non emergono criticità. Considerando gli interventi settimanali a carico di ciascun ginecologo non obiettore, e considerando 44 settimane lavorative in un anno, a livello nazionale ogni non obiettore ne effettua 1,6 a settimana, un valore medio fra un minimo di 0,5 della Sardegna a un massimo delle 4,7 del Molise. Anche nelle regioni in cui si rilevano ambiti locali con valori di carico di lavoro che si discostano molto dalla media regionale, il rapporto del ministero sottolinea che si tratta comunque di un numero di aborti settimanali sempre inferiore a 10, cioè con un carico per ciascun non obiettore che non dovrebbe impegnare tutta la sua attività lavorativa.