La Corte Costituzionale "protegge" i lavoratori: ecco perché sarà più ageveole riottenere il proprio posto
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La Corte Costituzionale ha stabilito che il Jobs Act è illegittimo laddove prevede il reintegro dei lavoratori in caso di licenziamento nullo solo nei casi in cui la nullità sia sancita "espressamente". Lo annuncia la stessa Consulta in una nota, spiegando che tutti i lavoratori il cui licenziamento è nullo hanno dunque il diritto al reintegro.
"La Corte costituzionale (sentenza n. 22 del 2024) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola "espressamente". Tale disposizione, quindi, è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità, previsti dalla legge, del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), l'ha limitata alle nullità sancite "espressamente" si legge in una nota della Corte.
"La Corte di cassazione rimettente, nel sollevare la questione, aveva censurato tale limitazione, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, per violazione del criterio di delega fissato dall'art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), deducendo che l'esclusione delle nullità, diverse da quelle "espresse", non trovasse rispondenza nella legge di delega, la quale riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di "licenziamenti nulli" senza distinzione alcuna".
"La Corte costituzionale ha ritenuto fondata questa censura, osservando in particolare che il criterio direttivo, nella parte rilevante in proposito, aveva segnato il perimetro della tutela reintegratoria del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, escludendola, in negativo, per i licenziamenti "economici", e prevedendola, in positivo, nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare".
"La Corte ha sottolineato che il testuale riferimento ai "licenziamenti nulli", contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva - e non consentiva quindi - la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati. Il legislatore delegato, al contrario, ha introdotto una distinzione non solo per questi ultimi, ma anche nell`ambito dei casi di nullità previsti dalla legge, differenziando secondo il carattere espresso (e quindi testuale), o no, della nullità. Inoltre, prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di
nullità espressa, ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie "escluse", ossia quelle di licenziamenti nulli sì, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità, cosi' dettando una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante".
"Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola "espressamente", consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l`espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto" si legge nella nota della Corte.