L'annuncio del presidente del Consiglio Giorgia Meloni: "Arriverà nelle prossime settimane". L'obiettivo è ridurre la mobilità passiva ed evitare che i cittadini, meno abbienti, rinuncino alle cure
Più medici e ambulatori aperti anche nei giorni festivi e di sera, in cambio di incentivi economici. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mercoledì a Fuori dal coro. "Stiamo lavorando a un provvedimento sulle liste d'attesa, con un'attenzione particolare alle Regioni che hanno un'alta mobilità passiva. Ossia quando per curarsi una persona si deve trasferire e la sua regione paga l'altra. Non voglio anticipare niente - ha spiegato - ma arriverà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane".
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Meloni ha evidenziato che "l'organizzazione compete per buona parte, quasi totalmente, alle Regioni. La prima cosa che possiamo fare noi, pur nella difficoltà economica che affrontiamo, è metterci i soldi per affrontare i problemi, perché il tema è importante. Voglio rivendicare che nonostante la situazione di bilancio abbastanza complessa, il Fondo sanitario nel 2024 arriva al suo massimo storico. Noi - ha aggiunto - ci abbiamo messo tre miliardi in più rispetto all'anno precedente e ci siamo concentrati su quello che impatta di più sui cittadini, le liste d'attesa. Stiamo utilizzando queste risorse per rinnovare il contratto degli operatori della sanità e quindi per combattere anche la carenza di personale che c'è, e per i progetti che sono specificamente destinati all'abbattimento delle liste d'attesa".
Per il ministro della Salute, Orazio Schillaci, "se non mettiamo forze nuove dentro il Servizio sanitario nazionale e non assumiamo medici e personale è difficile pensare che possa continuare a offrire ciò che offre, come fa tra mille problemi. Ciò si collega a un punto che mi sta molto a cuore: il vincolo assunzionale sui tetti di spesa. Entro l'anno andremo al superamento". "Le liste d'attesa - ha osservato il ministro - sono il peggior biglietto da visita del Servizio sanitario nazionale. Oggi però non abbiamo dati precisi. Un anno e mezzo per un esame è inammissibile, ma non abbiamo un monitoraggio Regione per Regione delle prestazioni che mancano".
Per questo, ha proseguito Schillaci, "bisogna mettere insieme nei Cup, nei sistemi di prenotazioni, le prestazioni del pubblico e del privato convenzionato. Non c'è solo il tema delle risorse, ma anche di come vengono spese". Inoltre, a causa di un ricorso massiccio alla cosiddetta sanità difensiva, non sempre esami e analisi prescritti sono realmente necessari, e ciò ingolfa il sistema.
L'Italia rischia una sanità "per censo", dove chi ha i mezzi economici potrà sempre di più garantirsi le cure mentre chi non dispone di un reddito adeguato non potrà curarsi: già attualmente, il 42% dei cittadini meno abbienti è costretto a rinunciare alle cure poiché, non riuscendo ad ottenerle nell'ambito del sistema pubblico, non ha i mezzi per rivolgersi alla sanità a pagamento. L'allarme è stato lanciato dal rapporto "Ospedali e salute" redatto da Associazione italiana ospedalità privata e Censis: anche le fasce più deboli sono spinte verso il privato non avendo accesso al Ssn a causa, spesso, delle lunghe liste di attesa, e questo provoca un ulteriore impoverimento di alcune categorie. Il primo dato che emerge, raccolto sulla base di un sondaggio Censis su 2mila cittadini, è che il 47,7% degli utenti ha una percezione positiva del Servizio sanitario della propria regione: l'8,7% e il 39% ritiene che la sanità locale sia di un livello qualitativo ottimo o buono. Il 28,1% esprime invece un giudizio di sufficienza e il 22,4% ritiene che il Ssr sia "insufficiente". Ma se più di un cittadino su 5 esprime un giudizio negativo, l'insufficienza del proprio Ssr è tuttavia riportata solo dal 9,4% dei residenti nel Nord-Est contro addirittura il 35,2% degli utenti che vivono nelle aree del Mezzogiorno.
Uno dei problemi maggiori restano le lunghe liste di attesa. La conseguenza è che negli ultimi 12 mesi, rileva il rapporto, il 16,3% delle persone che hanno avuto bisogno di rivolgersi ai servizi sanitari si è recato in un'altra Regione, nell'ambito delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario. La motivazione più ricorrente della mobilità sono appunto le lunghe liste di attesa nella Regione di appartenenza, afferma il 31% dei migranti sanitari.
Un problema che il provvedimento che il governo sta preparando vuole risolvere, affinché ogni Regione dia una risposta sanitaria tempestiva, non costringendo i cittadini a viaggiare in un'altra area del Paese e limitando, quindi, il fenomeno dei "viaggi della speranza". "I medici sono pronti a fare la propria parte, ma devono essere create le condizioni per un maggiore coinvolgimento", ha spiegato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo. Come scrive il Messaggero, "la commissione sulle liste d'attesa creata dal ministero della Salute dovrebbe completare il suo lavoro entro la fine di aprile. Nella lotta alle liste di attesa saranno utilizzati gli specializzandi".