Nel 1941, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, confinati dal fascismo, scrissero un documento per la promozione dell'unità politica europea
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Il Manifesto di Ventotene è considerato uno dei testi fondanti dell'Unione europea. Perché è uno dei primi documenti in cui si ipotizza l'istituzione di una federazione europea dotata di un proprio Parlamento e di un proprio Governo democratico con poteri reali in alcuni settori come economia e politica estera.
Il Manifesto di Ventotene: che cos'è - In principio si chiamava "Per un'Europa libera e unita": era questo il nome che, nel 1941, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi diedero a un "progetto di manifesto" nel quale promuovere e divulgare le idee di unità europea. Con un'idea ben precisa: creare una federazione europea ispirata ai principi di pace e libertà, con base democratica dotata di Parlamento e Governo e alla quale affidare ampi poteri, dal campo economico alla politica estera. Spinelli e Rossi scrissero il Manifesto sull'Isola di Ventotene, nel Tirreno, dove erano stati confinati per essersi opposti al regime fascista, insieme ad altre circa 800 persone, di cui 500 comunisti, 200 anarchici e i restanti socialisti. Fu poi pubblicato da Eugenio Colorni, ebreo socialista, e diffuso da alcune donne, tra le quali Ursula Hirschmann e Ada Rossi, che lo portarono clandestinamente dall'isola al continente. Il titolo definitivo con cui l'opera è oggi conosciuta fu assegnato da alcuni giornalisti viennesi.
Altiero Spinelli, il padre fondatore dell'Unione europea - Scrittore e politico, grazie al Manifesto di Ventotene Altiero Spinelli, classe 1907, è ritenuto uno dei padri fondatori dell'Unione europea. E proprio il progetto europeo influenzò tutta la sua vita: fondò il Movimento federalista europeo nel 1943, passando poi all'Unione dei federalisti europei; fu membro della Commissione europea dal '70 al '76 e poi del Primo parlamento europeo nel 1979. Morì nel 1986.
Il manifesto è suddiviso originariamente in quattro capitoli. Nel primo, intitolato "La crisi della civiltà moderna" viene illustrata la situazione storico-politica in cui vivevano gli estensori del testo. In particolare, si chiude con l'osservazione che alle "forze progressiste", contrapposte alle "forze reazionarie", è "affidata la salvezza della nostra civiltà".
Il secondo capitolo, intitolato "I compiti del Dopoguerra - L'unità europea" si apre con l'osservazione che "La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civiltà". Perché tutte le forze reazionarie (in cui sono annoverate anche le alte gerarchie ecclesiastiche) "combatteranno per conservare la loro supremazia". Dunque, "il problema che in primo luogo va risolto (...) è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani". Il secondo capitolo si spinge fino a ipotizzare un avvenire in cui "diventi possibile l'unità politica dell'intero globo".
Il terzo capitolo è intitolato "I compiti del Dopoguerra - La riforma della società" e si apre con la constatazione che quando finirà l'era del totalitarismo, andrà sfruttato "con coraggio e decisione" il momento. Quindi, "La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita". Il programma viene dettagliato poco dopo, quando si afferma che "la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio", come invece avviene nella Russia sovietica. Infine, il capitolo delinea cinque punti fondamentali della rivoluzione che verrà: "Non si possono più lasciare ai privati le imprese (...), il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire (...), i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita (...), la produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l'alloggio e il vestiario (...), la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti". Da ultimo, il Manifesto di Ventotene critica duramente la Chiesa cattolica che "si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari".
Il quarto e ultimo capitolo è intitolato "La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti" e descrive le caratteristiche che dovrà avere il nuovo "partito rivoluzionario", che "dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, e in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica". In sostanza, gli estensori del Manifesto di Ventotene sostenevano che fosse necessario creare una forza politica esterna ai partiti tradizionali, inevitabilmente legati alla lotta politica nazionale, e quindi incapaci di rispondere efficacemente alle sfide della crescente internazionalizzazione. L'ultima riga del Manifesto è un vero e proprio slogan visionario: "La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà".