LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Reato vendere la cannabis light, la Cassazione: "Conta l'effetto drogante"

Nelle motivazioni i giudici precisano che il fattore chiave non è la percentuale di principio attivo presente. Non è quindi la presenza di Thc sotto il 6% a garantire che la sostanza sia innocua

11 Lug 2019 - 16:48
 © lapresse

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Non è il basso livello del principio attivo, il Thc, nella cannabis a garantire che la sostanza sia innocua: per certificarlo va verificata piuttosto l'idoneità "in concreto" a produrre un "effetto drogante". Così le Sezioni unite della Cassazione definiscono, nelle motivazioni della loro sentenza di maggio, i limiti della legge 242 del 2016, in seguito a cui sono nati in Italia migliaia di cannabis shop.

Motivazioni: "Non basta la bassa presenza di principio attivo" - La legge viene dunque applicata in caso di vendita al pubblico di prodotti derivanti dalla cannabis light anche se l'olio, le inflorescenze e la resina presentano un Thc inferiore allo 0,6%.

"La commercializzazione al pubblico della cannabis sativa light - si legge nel testo della Cassazione - e in particolare di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione di tale varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicabilità della legge 242 del 2016", sulla filiera della canapa, "che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione delle varietà ammesse" ed "elenca tassativamente i derivati che possono essere commercializzati", pertanto tutte le altre condotte rientrano nelle ipotesi punite dalla legge sulle droghe, "anche a fronte di un contenuto di Thc inferiore ai valori indicati dalla legge 242", che fissa il limite, appunto, allo 0,6%, "salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa".

"Verificare l'effetto reale" - Pertanto, "si impone - aggiunge la Cassazione - l'effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all'attitudine delle sostanza a produrre effetti psicotropi", e questo significa che "occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetti di cessione".

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