Certo, al momento di prendere il timone del Club e di avviarne la rifondazione, Berlusconi è ritornato con il pensiero al "suo" primo Milan, quello dei Carapellese, dei Puricelli, dei Tosolini, quello di cui si era innamorato negli anni dell'immediato dopoguerra. Si trattava di un Milan "minore", ma agli occhi del tifoso bambino rappresentava comunque qualcosa di meraviglioso, un patrimonio di affetti da difendere strenuamente nel corso di accese discussioni con i compagni di scuola, interisti o juventini che fossero.
E poi a casa, finiti i compiti, c'era sempre il tempo di parlarne con il padre, di commentare l'ultima partita, di provare a immaginarsi la successiva: "Vedrai papà, vinceremo, dobbiamo vincere...". Fino alla domenica, quando - finalmente - il sogno chiamato Milan poteva tradursi in realtà sul campo. Ed ecco emergere altri ricordi: il percorso fino allo stadio (l'Arena o San Siro) mano nella mano con papà, la coda davanti ai cancelli e lui, Silvio, a farsi piccolo piccolo per poter entrare con un solo biglietto in due.