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Di Maio: "Un sì per portare il Parlamento italiano ai livelli europei. Per tagliare i costi e iniziare un percorso di riforme". A Milano si riunisce il fronte del no, con Bonino e Calenda
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"Un sì per portare il Parlamento italiano ai livelli europei. Per tagliare i costi e iniziare un percorso di riforme". E' ancora Luigi Di Maio, nell'ultimo giorno di campagna, a guidare la battaglia per il sì al taglio dei parlamentari. Lo fa dalle dalle piazze di Cardito, Caivano, Giugliano, San Paolo Bel Sito. Piazze dove, più che le riforme costituzionale, sul voto pesa e ha pesato il reddito di cittadinanza. E, anche per questo, l'ex capo politico M5s, rispolvera la battaglia alla "vecchia politica" cara al Movimento.
Il Fronte del no, però, si è ampliato sia nel numero di volti sia nella loro notorietà. A Milano, a piazza Sempione, a sfilare è un fronte trasversale: da Emma Bonino a Carlo Calenda, da Giorgio Gori a Deborah Bergamini. Tutti per dire no ad una riforma che, sottolineano, "è una finzione e porta a un Parlamento di fedelissimi".
Di Maio ha fatto di tutto per non cadere nell'errore che fu di Matteo Renzi: personalizzare il referendum. "Il sì unisce tutti gli elettori. Lo vogliono Pd, Lega, Fdi e M5s, non è un referendum su di noi", ripete il ministro degli Esteri, in questo venerdì in cui, ad accompagnarlo, sono alcuni dei fedelissimi, da Laura Castelli e Francesco D'Uva, fino a Luigi Iovino e Iolanda Di Stasio.
Sul palco di Napoli, però, giovedì sera c'era mezzo governo M5s, quasi a fornire una rappresentazione plastica di un nuovo stato maggiore del Movimento. Ma, forse, anche perché il referendum è un bivio per la legislatura. La vittoria del sì la blinda almeno per qualche mese, rendendo obbligatoria una nuova legge elettorale. Legge che, il fronte del sì, vorrebbe proporzionale. A cominciare dai 5 Stelle, che, nei prossimi giorni, chiederanno di inserire anche il divieto di candidarsi in collegi diversi da quelli di appartenenza.
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A Milano, invece, l'aria è quella della trincea a favore della Costituzione ma non solo. "Troppe cose segnano un'egemonia del M5s sull'agenda di governo. Io spero che da un no forte possa venire una spinta per un Pd con più orgoglio", sottolinea Gori tra i più critici sulla gestione di Nicola Zingaretti, che sul sì al referendum è andato in direzione contraria dei "padri fondatori" Walter Veltroni e Romano Prodi. Ma nella maggioranza c'è chi, come Iv, al di là della'indicazione di libertà di coscienza di Matteo Renzi, spinge per il No alla luce del sole.
E Maria Elena Boschi, l' ex madrina delle riforme, si schermisce: "non dico come voto". Mentre nel centrodestra, se Forza Italia vira decisamente sul No e Matteo Salvini resta fedele al sì in una Lega divisa, Giorgia Meloni da un lato dice sì al taglio ma dall'altro avverte: la vittoria del no sarebbe "un segnale per il governo".